Finitudine

di Enea Solinas

__

ll senso del limite, il sentimento dell’impermanenza, l’abbandono come dono che crea legame, ricordo, superamento e radica alla Terra.

____________________________________________________________________________

 ___

Riprendo qui la metafora del virus come ospite, essere che ci abita e ricorda il nostro essere ospiti. Aggiungo temporanei.

E sottolineo l’ambivalenza generativa, polisemica, della parola “ospite”. Siamo di passaggio su questa terra (che mi ostino a NON ritenere una valle di lacrime) e siamo i custodi e testimoni della Terra. Delle situazioni e delle relazioni che coltiviamo e accogliamo, anche solo per un istante, nel nostro sentire.

Istanti che sono semi e come tali possono depositarsi e crescere in noi e farsi durata e perdurabilità, così come possono essere gesti – non sempre delicati ammettiamo, ma l’esercizio dovrebbe conseguire un proprio talvolta faticoso ed estenuante, smussante, addolcimento – che incrociamo, agiamo, cogliamo senza capirli (=contenerli). Li notiamo e con grazia per noi stessi e per gli altri esseri viventi, li lasciamo andare. L’unica spiegazione non è che ad un’allusione che ci può far intuire o immaginare, se vediamo in questo accadere non un problema ma un mistero.

Incontriamo e superiamo così delle soglie. Alcune si ripetono o riecheggiano sentimenti passati. Altre accadono, ci arrecano stupore o sgomento, gioia o dolore. Alcune sembrano richiamare alla nostra attenzione l’irreversibilità, il considerarci meno imprescindibili e fondamentali. Impermanenti e transitori. Ospiti seminali noi stessi. Soggetti animati radicalmente dal desiderio, che ci fa sognare o ci rende protagonisti di un sogno ingenerato anche dalla nostra tendenza ad ingannarci, inquietarci per reagire all’angoscia o alla paura con vitalità non prevedibile.

L’epoca che si annuncia è sia una convivenza in noi col virus che ha generato la pandemia (David Quammen docet, se non altro perché è stato profetico).

Ma d’altro canto questo fa riemergere e porta d’attualità il nostro rapporto con la finitudine.

Il campo semantico e metaforico non vuole essere soltanto filosofico ma sapienziale. Sapendo trarre fertile insegnamento anche da una sincera ricerca spirituale e in qualche modo in-direttamente metafisica.

Ma con delle conseguenze etiche e civili ben più ragionevoli e consapevoli della consustanzialità tra sacrificio e ierogamia, legame e rinuncia, trasporto e liberazione.

Un atteggiamento e un interesse che ci disorienta per riorientarci. Che al sentore di disastro ci fa sentire più accorti e ci sospinge a seguire gli astri restando coi piedi per terra. Sapendo coltivare l’attesa e agendo avendo cura di sé per avere più attenzione e cura del mondo (cosmo). In questo movimento che è anche un anelito che sa guardare alle stelle e avvertendo quell’imperfezione, quella mancanza ci fa de-siderare, scendere dal mondo uranico o ancor più labile e spesse volte ingannevole iperuranico.

E tuttavia, volendo usufruire anche dell’attitudine filosofico misterica dei neoplatonici, ricordiamo il mito di Urano, non solo in quanto padre a cui il figlio Crono recise i testicoli (atto a sua volta generativo e origine secondo una versione del Mito della nascita di Venere) ma anche quale sposo di Gea che non rapisce o violenta (come è d’abitudine del suo coeterno nipote Zeus) ma asseconda, segue si adagia – con irriducibile lentezza – e riconosce in questa intenzionalità la sua parte altrettanto femminile e procreatrice che lo conduce ad accoppiarsi dolcemente con la Terra.

La quale è una e triplice: Cthon, Gea e Demetra una rispecchiante (ma sempre con uno scarto che le rende uniche e relative) inghirlandate tra loro.

La sapienza di tradizione neoplatonica che attinge alle arcaiche favole mitiche senza paura è parallela a una religiosità (atteggiamento spirituale e di pensiero) espresso poeticamente per esempio da Adriana Zarri e ricordata, sollecitato anche in un altro libro di Duccio Demetrio.

Anche questa puntata si confronta col tema dell’irreversibilità e dell’indefettibile o indistruttibile (aksara, in sanscrito e mi scuso per i limiti della cattiva translitterazione). Che può essere ricondotta a quel nucleo incorrotto che coincide fondamentale con la stessa sensazione di esistere.

___

A margine do alcuni altri riferimenti bibliografici: il punto di svolta di Fritjop Capra – che si riconnette alla questione ecologica. E due testi di Gregory Bateson, il primo Mente e Natura ci fa riflettere delle numerose implicazioni e interdipendenze che lo stare al mondo ci fa sentire e conseguentemente far pensare, in modo spesso prelogico. Il secondo è dove anche gli angeli esitano che ripropone il tema misterioso del legame col Sacro.

Soffermarci e al tempo stesso presentire una possibilità dovrebbe accogliere entrambi i movimenti. Accorgerci della soglia e cadere assecondando il nostro naturale desiderio superarla per tenerla ancora più presente.

La finitudine non è indagabile ex post e come hanno insegnato in tanti saggi (uno tra tutti Michel De Montaigne) filosofare è sì amore per la saggezza e la conoscenza, ma anche imparare a morire e farsi impermanenti.

Tutto ciò che è sacro e reversibile (respiro, eros, melodia) implica questo atto, questo sacrificio che attiene all’irreversibilità (morte, fame, uccisione). Inteso anche come rinuncia e superamento. Ma anche come consapevolezza della nostra mortalità (gli animali umani uccidono per uccidere e non per istinto di sopravvivenza, in questo senso sono gli unici mortali…)

La natura non è un idillio. L’umanità men che meno.

Convivremo col virus e probabilmente accadranno altre pandemie alle quali si spera reagiremo in modo più consapevole e meno sprovveduto.

Ma è pur vero che il virus demorde e i dati confermano la sua resa o de-rubricamento. Accede così a livello storico. Metaforicamente accade così per esempio anche con certi traumi. Che pur lasciando tracce profonde, relativizzati e leniti, vengono dal soggetto presente a se stesso, de-rubricati e circoscritti.

Queste cronache danno più rilevanza ad un altro virus che perversamente sogna di “morire nella bella luce” e in cerca di gloria si inorgoglisce della cattiveria e distruttività della guerra.

Vorrei che queste cronache siano piuttosto virali che non umane. Forse sono umane e non umane.

Fiorisca un po’ di pace, almeno nelle anime in pena e si agisca politicamente per una obbedienza civile a dei principi meno deleteri.

Con spirito di gratitudine, alla prossima.

___

Cronache Del Dopo Virus ritorna lunedì 5 giugno

____

One Ping

  1. Pingback: Gravità - Bradipodiario

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *