Gravità

di Enea Solinas

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Il residuo di ciò che ha preceduto il virus

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Ritorno sul concetto di limite e finitudine, affrontato nelle scorse cronache. Ma lo sguardo si critico (e ammetto autocritico) sulla mancanza del senso del limite e su questo sviluppo esponenziale e illusorio che caratterizza ancora oggi molte decisioni politiche e imprinting culturali.

Che la pandemia sia stata un evento inatteso e rapido nella sua diffusione è un dato incontestabile. Che sia stata anch’essa oggetto di speculazione di parte, anche su questo non ci piove.

Siamo ospiti impermanenti e transitori, ci ricorda il virus.

Ma altresì abbiamo la possibilità di incidere per agire piccoli grandi cambiamenti e rivoluzioni. Magari resistendo e avanzando un impegno sociale non violento, attivo.

Memori nel sentire presente della non compiacenza e del non asservimento della terra.

Che anzi ci ricorda che non abitiamo la luna, e stringiamo con tutto l’ambiente un patto di gravità. Che è legge e principio fisico. Stare coi piedi per terra e lo sguardo desiderante sentendo la mancanza delle stelle ci espone alle potenze ctonie prepatriarcali che ci rimembrano non solo il rischio di cadere, ma la possibilità di rialzarci. Non solo la fertilità di Demetra, ma lo sperdimento di Gea. L’oscuro, nero sentire che se da un lato preme come costrizione affinché ciascuno ri-partorisca sé stesso in una feconda rinascita, altresì si fa antro che accoglie l’ombra nell’ombra. La possibilità di com-patire e ascoltare una melanconia che offre altre declinazioni. Lentezza sobrietà solidarietà e anche lenimento e sollievo attraverso un prendere meno sul serio se stessi, per dare più risonanza e importanza alla relazione che intercorre tra noi e i prossimi, il mondo, la natura. La costrizione è generata da Necessità (Ananke). Questa potenza è spesso obliata, ma è per l’appunto generativa poiché ci costringe a fare i patti con noi stessi e i nostri limiti.

Questi da soli non bastano e vieppiù anche quando agiamo, sentiamo o richiamiamo a noi il nero più nero del nero nella mortificatio, dovremmo sapere riconoscere anche quell’azzurro scuro, quel blu profondo che caratterizza non la sofferenza auto-distruttiva ma il dolore malinconico.

Cito diverse notizie e fenomeni.

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L’alluvione che dopo mesi di siccità ha colpito vaste aree dell’Emilia Romagna. Che evidenziano una supremazia del bianco che acceca e inganna. Un sistema territoriale gestito come fosse risorsa da spremere oltre ogni limite e rispetto. Non è l’albedo riflessiva contemplativa di quel bianco che contiene (=capisce) in sé un po’ di azzurro è che è indice di connessione con le profondità, pur nel superamento del dolore.

Le manifestazioni a difesa del diritto alla salute e a sostegno della sanità pubblica come bene comune, primario inalienabile. La pandemia ha mostrato che il sistema è più fragile e iniquo là dove le logiche del privato hanno subordinato i diritti al profitto e alla prestazione tecnica.

L’allarme strillato da alcuni titoli di giornali del boom epidemiologico di aumento delle depressioni dopo la dichiarazione della pandemia. Queste sofferenze sono indicative e sintomatiche di una società patogena nel considerare tecnicamente superabile ogni imprevisto e ogni limite. E di fare di questo braccio armato della scienza (intesa come scissione dal sentire e dalla natura) cioè appunto la tecnica uno strumento di crescita esponenziale nella ricerca di profitti.

Abbiamo imparato qualcosa dalla pandemia? Siamo in grado di fare un’analisi più approfondita del bilancio pro e contro della tecnologia o del modo di utilizzarla? Vogliamo mettere in discussione il modello dominante di sviluppo. Questo sviluppo senza progresso, come ricordano le contestatarie e pacate parole di Pier Paolo Pasolini?

Purtroppo in queste cronache sottolineo le contraddizioni ma soprattutto la predominanza di un malagire di un malintento di cui si possono riscontrare punti di continuità prima durante e dopo la pandemia.

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Forse davvero queste cronache invitano alla non rassegnazione, alla corresponsabilità e alla rammemorazione di un legame con quanto precedendoci ci anticipa e ci supera. Farsi travolgere è segno di non sentire sintonico e sincronico questo legame. Un atto di mancanza di rispetto per noi stessi e conseguentemente per chi è in relazione con noi. Non solo altre persone, ma luoghi, ambiente e beni immateriali ma fondamentali come i diritti.

Forse oltre che alle parole manifesto di questo sito, si dovrebbe aggiungere Attenzione. Non-violenza anche se non è specificata è da sempre parte del nostro dizionario.

Da persona che ha attraversato vari periodi di disagio e sofferenza mentale, psichica. Mi colpisce questo esponenziale aumento del male oscuro. È una questione di gravità.

La gravità è una forza.

Può essere utilizzata per rinsaldare il nostro radicamento o come spinta cinetica a procedere nel divenire, come avviene quando camminiamo.

È una ricognizione di qualcosa che non deve essere respinto. Dovrebbe farci più accoglienti. In modo non costrittivo ma quale possibilità, scelta consapevole.

Sento una certa pena.

Ma allo stesso tempo, riluttante e resistente promuovo una certa indulgenza e accettazione. Che orienti diversamente lo status quo di un mondo sociale sempre più iniquo e ambiguo.

Forse è questa la vera eversione?

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Qualcosa di nuovo, anzi di antico come il sole dell’incipit de L’Aquilone di Giovanni Pascoli.

Di questa oscurità che richiedeva un’interrogazione era esplicita anche la parola apollinea. “Il Dio il cui Tempio è a Delfi, non tace e non nasconde. Accenna.”

Scusate se parlo per enigmi o prendo a prestito le parole dei poeti e prefilosofi.

Confido nella vostra intelligenza di porre domande a queste forse vane provocazioni del pensiero.

Invito chi vuole a condividere domande su questioni particolari e specifiche, meglio se concrete e riferite a contesti reali e non virtuali, così come in un precedente episodio di queste Cronache avete condiviso i vostri sogni.

Alla prossima.

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Foto: corriere.it

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Cronache Del Dopo Virus ritorna lunedì 3 luglio

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