Traffic/Tube

di Gianfranco Gonella

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Rileggendo mi sono accorto che mi sono ripetuto

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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa entrava nel campo di concentramento di Auschwitz liberando di fatto gli internati di tutti i lager nazisti e ponendo fine alla tragedia della Shoa.

Ventiquattro anni fa l’Italia scelse questa data per celebrare la “Giornata della memoria”, per non dimenticare quanto l’uomo nella sua aberrazione è riuscito a fare ad un altro uomo, alcuni anni prima che una risoluzione dell’ONU dichiarasse questa data come “Giornata mondiale delle Memoria”.

Il 27 gennaio 2024 io mi chiedo: quanto durerà la memoria? Mi spiego.

Mia mamma ha vissuto la guerra, ho conosciuto mia nonna che ha vissuto il ventennio con l’emanazione delle leggi razziali: io ho delle testimonianze dirette su quanto è accaduto. I miei figli hanno conosciuto mia mamma e anche mia nonna, ma i miei nipoti non avranno questa fortuna. E questo cosa vuol dire?

Significa che a loro la storia arriverà in forma indiretta, per sentito dire da chi non l’ha vissuta da protagonista e, forse, in modo distorto e non reale.

È come il gioco del passaparola che si faceva da bambini: il primo dice qualcosa al proprio vicino sottovoce nell’orecchio, questi a sua volta ripete quanto ha capito al suo vicino e così via fino all’ultimo che deve dire ad alta voce quanto gli è arrivato, spesso e volentieri diverso da quanto è partito, per strada qualcosa è cambiato e non si sa da chi.

Altro esempio i camposanti, qui le tombe dei nostri cari sono curate fino alla seconda generazione, da parte di coloro che hanno avuto rapporti diretti con i defunti, poi vengono naturalmente dimenticate.

Per questo si è creato la Giornata della memoria, ma nel frattempo abbiamo tolto i fondi per i “treni della memoria” che trasportavano a prezzi contenuti i giovani nei luoghi dell’Olocausto per prendere visione personalmente di quanto descritto sui libri o visto in qualche servizio televisivo; oppure giustamente ricordiamo i martiri italiani delle Foibe dimenticando gli eccidi compiuti nelle nostre campagne di colonizzazione nei Balcani e in Africa.

Celebriamo la Resistenza e qualcuno la accomuna alla Repubblica di Salò, forze politiche cercano in tutti i modi di farci dimenticare riscrivendo la storia ad uso e consumo del governante di turno.

Di questo passo riusciranno a convincerci che Gesù è morto in croce per una polmonite.

Bisogna quindi alzare la guardia e far di tutto per conservare la memoria altrimenti, tra pochi anni, l’Olocausto sarà ricordato allo stesso livello delle stragi di Maya, Atzechi e pellerossa durante le campagne di colonizzazione europee verso il nuovo mondo.

Forse fra un secolo un regista particolarmente ispirato potrà farne un film, al momento vi lascio con le parole di Primo Levi.

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Se questo è un uomo

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Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

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Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.

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Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

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Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

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O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

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Stavo per iniziare a dedicarmi alla parte musicale dell’articolo quando, rileggendolo mi è venuto un dubbio: non è che mi sto ripetendo?

Così ho fatto uno sforzo di memoria e sono andato indietro nel tempo fino al 2012 ritrovando nelle pagine del nostro antenato Blog le stesse parole che ho appena finito di scrivere, ma proprio le stesse.

Allora, passati 12 anni, la situazione è sempre la stessa?

Direi peggiore, perché se prima era la memoria che ci veniva a mancare oggi invece la memoria di chi sta riscrivendo la storia la conosce benissimo e, complice un’opposizione supina di tutti questi anni, capace solo di litigare e a frantumarsi in tante correnti e correntine di partito, sta stravolgendo di tutto e di più.

Sulla paura per il diverso abbiamo scritto leggi e decreti che manco le leggi razziali, multiamo e incriminiamo chi si adopera per salvare vite, facciamo accordi con aguzzini per internare poveri disgraziati che cercano solo un posto per iniziare a vivere dignitosamente.

Siamo riusciti a sdoganare manifestazioni fasciste non come apologia, ma come messaggi goliardici; continuiamo ad avere la seconda figura dello Stato che proprio non riesce a scostarsi dal passato neanche in compagnia della senatrice Segre al binario 21 della stazione di Milano.

E così che rileggendomi mi sono chiesto: ma cosa abbiamo fatto in tutti questi anni?

E riusciremo a fare qualcosa nel prossimo futuro o continueremo a mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi?

Adesso si che mi dedico alla parte musicale: il titolo è doppio perché due sono i brani che vi propongo. Sono strumentali ed eseguiti dai The Psychegruop Group, nome bizzarro che deve essere accomunato con i The Undrground Set. Per via di questi nomi vengono spesso considerati inglesi.

Sia i primi che i secondi non sono altro che i musicisti de La Nuova Idea che registrano brani composti esclusivamente da Giampiero Reverberi, produttore di molti album tra i quali quelli delle Orme, che si firma con il nome Ninely. Il disco è del 1971, comprende 5 brani strumentali, e io ve ne propongo 2: TrafficTube. Buon ascolto.

Foto: static2-viaggi.corriereobjiects.it

Il Mito Ostinato ritorna lunedì 26 febbraio

5 Comments

  1. andrea crosetti Reply

    Quando il generale Dwight D. Eisenhower arrivò con i propri uomini presso i campi di sterminio nazisti non ebbe il minimo indugio. Ordinò, perentoriamente, che fosse scattato il maggior numero di fotografie alle fosse comuni dove giacevano ossa, abiti, corpi scomposti scheletrici ammassati come piramidi casuali. Fotografie per ogni gelida baracca che fungeva da dormitorio, fotografie al filo spinato, ai forni crematori, alle divise, ai cappellini, alle torri di controllo, alle armi, agli strumenti di tortura, sì, c’erano anche quelli. Forse aveva gia’ capito tutto.
    Mio papa’ che ha fatto il partigiano nelle valli di Lanzo, prima che le sue condizioni peggiorassero, con la videocamera, l’ho intervistato per provare a registrare i sui ricordi dei mesi passati in montagna. per lasciare un ricordo a chi veniva dopo di me. pero’ era evidente che anche ad anni di distanza, volesse in qualche modo dimenticare.

  2. Claudio Savergnini Reply

    C’è poco da aggiungere, oggi, alle parole di Gianfranco sull’affievolirsi della “memoria” per certi avvenimenti storici.
    All’inizio della mia carriera ho lavorato per diversi anni come manutentore in ambienti militari. Ho così avuto modo di accedere a molte caserme dell’esercito, ai depositi munizioni (le famigerate polveriere) e presso alcuni poligoni di tiro, ma ho potuto frequentare anche luoghi più ameni come gli Alti Comandi Militari, il Circolo Ufficiali, e l’importante Scuola d’Applicazione d’Arma. In molti dei luoghi appena elencati è presente una enorme lapide commemorativa che riporta, inciso nel marmo, il Bollettino della Vittoria del Generale Armando Diaz. Questo documento che ho potuto rileggere in più di un’occasione termina con la seguente frase: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.” Ora, quel “discese con orgogliosa sicurezza” mi ha sempre fatto pensare che un esercito invasore fosse poi stato battuto e respinto dall’eroismo dei nostri fanti e dei nostri alpini, che avevano difeso i sacri confini. Così effettivamente è stato, ma la mia non era una sensazione molto corretta, perchè fummo noi italiani a dichiarare guerra all’Austria (se non ne ricordate il motivo potete cercare su Wikipedia le voci “Triplice Alleanza” e “Triplice Intesa”). Anche il testo de “La leggenda del Piave” (conosciuta anche come “il Piave mormorò) porta a pensare ad un nemico aggressore:
    “l’esercito marciava per raggiunger la frontiera
    per far contro il nemico una barriera”
    e poi il fiume stesso che a un certo punto esclama: “non passa lo straniero!”
    Purtroppo anch’io per molto tempo ho dato credito a questo equivoco modo di rievocare quei tristi eventi. Non ricordo nessun professore nè delle medie nè alle superiori che mi avesse sottolineato il fatto che fu l’Italia ad aggredire l’Austria.
    Nell’articolo di Gianfranco si cita Primo Levi: a tal proposito ho un piccolo aneddoto. Un collega di lavoro, all’epoca poco più che ventenne, mi raccontò che per le vacanze estive il professore aveva proposto alla classe una serie di libri tra cui sceglierne uno da leggere e farci una breve relazione. La sua scelta cadde su “Se questo è un uomo” di Primo Levi unicamente perchè tra tutte le opere suggerite era quella con il minor numero di pagine (se il libro è breve, esigua sarà la fatica e minimo il tempo da dedicarle…). Capitò poi che alla sua classe, l’anno successivo, venisse cambiato il professore. Il nuovo venuto mantenne quella che sembrava una buona idea del predecessore e dette quindi lo stesso compito per fine anno. Per cosa optò allora il mio intelligente collega? Ve lo devo proprio dire? Ovviamente scelse lo stesso libro e così si espresse raccontandomelo: “Ah ah, così non ho dovuto rileggere nulla e la relazione ce l’avevo già fatta!” Ora io non voglio generalizzare da un singolo caso; non posso dire che l’atteggiamento del mio ex collega sia la norma e che descriva il comportamento di tutti coloro che frequentano la scuola, ma quel comportamento mi ha ricordato quello di tante persone che ho conosciuto. Mi ha fatto pensare che in molti settori (e molti ambienti) vige un modo similare di vedere le cose: l’auto compiacimento per la furbizia fine a se stessa, la malizia applicata per sottrarsi a un impegno, il barbatrucco per sentirsi più furbo degli altri.
    Gianfranco si angustia perchè è in atto un processo che porterà all’oblio di tante cose ma
    per mantenere viva la memoria di qualcosa è necessario che quel “qualcosa” prima venga immagazzinato nelle menti. É sacrosanto che esista il Giorno della memoria, ma i campi di sterminio della Shoa spariranno presto dall’immaginario collettivo finchè ci sarà gente che sceglie “Se questo è un uomo” per la sua brevità.
    E ditemi, sinceramente: qualcuno di voi è trasalito nello scoprire che siamo stati noi a dichiarare guerra all’Austria per annetterci Tentino, Alto Adige e Venezia Giulia? Avevamo la memoria corta o forse sono stati il trionfalismo delle lapidi e la retorica di una canzone (che ci hanno insegnato alle elementari) a trarci in inganno?
    Vi metto questo link della canzone del Piave dove in sovrimpressione si legge comodamente il testo: https://www.youtube.com/watch?v=dNrjBx8Uc48
    dura solo un minuto e mezzo, ma per chi non avesse tempo di riascoltarla aggiungo che termina con questo verso: “La Pace non trovò né oppressi, né stranieri”
    che sembra proprio la fotografia del nostro Paese, scattata oggi!

  3. Ilaria Marletti Reply

    Condivido in pieno quanto avete scritto e sintesi reale della situazione che stiamo vivendo. Bravi tutti, grazie Gian per la riflessione.

  4. Gabriele Monacis Reply

    Riporto uno scritto di una persona, per comprendere meglio la ritrosia di alcuni nel riportare alla mente orrori vissuti sulla loro pelle. E’ portante, è un ottimo deterrente non dimenticare ciò che è stato, perché non si ripeta. MAI PIU’.

    “”Stamane una persona a me cara ha proferito delle parole che non riesco a dimenticare:
    “Morire di fame e disamore”:
    Una frase che colpisce dritto al cuore, evocando una sofferenza profonda e lacerante. Un’assenza di affetto che avvelena l’anima, privandola di nutrimento vitale, come una pianta che senza acqua e sole avvizzisce e muore.
    Che sia disamore genitoriale; disamore degli amici; disamore del mondo e poi forse il più grave: il disamore verso noi stessi. la ferita più profonda, quella che avvelena ogni aspetto della nostra vita. Non accettare se stessi, con pregi e difetti, genera un senso di inadeguatezza e vergogna che ci impedisce di fiorire.
    Quanti omicidi ha commesso il disamore? Le sue vittime sono innumerevoli, anime silenziose che portano dentro di sé il peso di una sofferenza indicibile.
    Ma la speranza non muore mai. Come fiori che rinascono dopo l’inverno, anche noi possiamo risorgere dalle ceneri del disamore. Imparando ad amare noi stessi, possiamo coltivare la nostra forza interiore e fiorire nonostante le avversità. Possiamo cercare il sostegno di persone che ci amano e ci comprendono, creando una rete di affetto che ci nutre e ci protegge. Possiamo combattere contro l’indifferenza del mondo, diventando la voce di chi non ha voce e donando amore a chi ne ha bisogno.
    Perché l’amore è l’unica forza in grado di sconfiggere il disamore. È la luce che illumina il buio, il calore che scioglie il ghiaccio, la vita che vince sulla morte.
    Non abbiate paura di chiedere aiuto””.

  5. Gian Reply

    Nel ringraziarvi per l’attenzione che avete messo nel leggere e commentare quanto scritto chiudo con qualche parola di speranza.
    Sono andato ad una riunione della sezione ANPI di cui faccio parte dove è intervenuta una giovane ragazza che fa parte del coordinamento giovanile dell’associazione.
    Ci ha esposto la volontà ferrea di continuare a mantenere viva la memoria, ricercando e catalogando il più possibile le testimonianze per non disperdere la conoscenza.
    Forse così la storia non la si potrà riscrivere a piacimento del politico di turno, almeno spero, confidando nel bicchiere mezzo pieno.

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