L’Isola Di Arturo

di Sara Migliorini

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Dalla penna di una scrittrice superba il racconto di un’infanzia mitica in un’isola magica

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Voglio parlarvi di un altro libro meraviglioso che mi ha accompagnato nell’estate appena passata, “L’isola di Arturo” di Elsa Morante, edito da Einaudi, un romanzo per metà favola e per metà racconto di formazione.

A narrarci le vicende è Arturo stesso, che, fin dalle prime pagine, ci trasporta in un mondo mitizzato ed eroico, dove mito è già possedere il nome di una stella, “la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!”, portare il nome di re valorosi e intrepidi condottieri. Principe di nome e principe nei fatti, dal momento che Arturo è il re incontrastato nella sua isola, una Procida che prende le sembianze, nella penna della Morante, di un luogo fatato.

Arturo è orfano; di madre, morta dandolo alla luce, ma anche di padre, che lo abbandona a sé stesso per lunghi periodi e per motivi misteriosi. Una doppia mancanza che porterà il protagonista, da un lato, a sacralizzare la figura materna, reputando, per contro, il resto del genere femminile come inutile e privo d’interesse, e, dall’altro lato, a idealizzare la figura paterna, che, proprio perché sempre assente, può incarnare l’eroe senza macchia, il dio da adorare, il modello da imitare. La solitudine che circonda Arturo lo porta a crescere senza regole se non quelle che egli stesso si dà, libero di trascorrere le sue giornate scorrazzando per l’isola, nuotando alla ricerca di ricci di mare e nutrendosi di libri di avventura, scovati nelle stanze della Casa dei guaglioni, l’altrettanto mitica casa di Arturo e suo padre Wilhelm, il cui ingresso è precluso alle donne.

Sono pagine di grande lirismo e d’incredibile introspezione quelle che la Morante dedica all’infanzia di Arturo e non si può quasi fare a meno di tornare bambini noi stessi durante la lettura. Chi di noi da bambino non pensava che il posto in cui viveva fosse il centro esatto della terra e che niente altro importasse? Chi di noi non ricorda ancore le estati dell’infanzia come un momento irripetibile della vita, a cui ritornare sempre con imperitura nostalgia?

A spezzare l’idillio con la vita e con l’isola è l’arrivo di Nunziata, la nuova moglie del padre, matrigna nel ruolo, ma di fatto poco più di una ragazzina, appena più grande di Arturo. Accolta inizialmente con rabbia e gelosia, responsabile di turbare e spezzare con la propria presenza il legame esclusivo tra padre e figlio, Nunziatella sarà la chiave di volta nella crescita emotiva di Arturo. Se la vita avventurosa spesa nell’esplorazione dell’isola ha temprato il fisico di Arturo, non così ha fatto la solitudine sui sentimenti ed egli si trova in balia di passioni mai provate prima. La diffidenza iniziale nel dover condividere la vita e gli spazi della casa lascia il posto allo stupore della gioia nell’avere, finalmente, qualcuno accanto con cui condividere i pasti, i racconti delle giornate trascorse all’aperto o le scoperte fatte nella lettura di un libro. Non c’è modo di trovare un equilibrio in questa nuova felicità che l’annuncio della gravidanza di Nunziatella porta Arturo a riflettere sui suoi sentimenti e ad ammettere con sé stesso di essersi ingannato, o forse di aver voluto ingannarsi, sulla vera natura del rapporto con la matrigna.

È tempo per Arturo di crescere. Di riconoscere che il padre non è l’eroe senza macchia e senza paura dei propri sogni ad occhi aperti, ma un egoista che si è sempre fatto gli affari suoi, infischiandosene degli affetti a lui più vicini. Di accettare che la mancanza di affetto di cui si è sempre fatto un vanto non rende più la sua vita eroica, ma insopportabile. Di ammettere che è giunto il tempo di abbandonare la propria adorata isola e di aprirsi a nuovi scenari. E, ancora una volta, come non immedesimarsi in Arturo? Come non comprendere lo strappo lacerante che tutti noi abbiamo sentito nel momento stesso in cui ci siamo resi conto, con attonito stupore, che una stagione della nostra vita si era conclusa per lasciare il posto alla vita da adulti?

Ognuno può ritrovare un pezzo di sé stesso in questo romanzo. La difficoltà dei legami familiari, dalla perdita della madre all’assenza del padre, l’amore, la gelosia, l’abbandono, il dolore, la disperazione, la mitizzazione delle persone e dei luoghi, l’isola come rifugio e come simbolo di libertà: non c’è sfera della crescita dell’individuo che venga tralasciata  e scavata nei suoi più disparati aspetti dalla penna dell’autrice. E, se già questi non fossero motivi sufficienti per abbandonarsi alla lettura, basterebbe la prosa lirica e incantata di Elsa Morante per farlo.

“Ci tornerai sempre, sì; però, aggiungo: non ti ci fermerai mai. Quelli come te, che hanno due sangue diversi nelle vene, non trovano mai riposo né contentezza, e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qua, subito hanno voglia di scappar via. Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno; ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo sangue, perché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone, come una sirena. E potrai anche trovare qualche compagnia di tuo gusto, fra tanto gente che s’incontra al mondo; però, molto spesso, te ne starai solo. Un sangue-misto di rado si trova contento in compagnia: c’è sempre qualcosa che gli fa ombra, ma in realtà è lui che si fa ombra da se stesso, come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra l’uno l’altro.”

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Foto Sara Migliorini

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Il Bradipo Legge ritorna mercoledì 16 novembre

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CULCULC

5 Comments

  1. Susanna Tamplenizza Reply

    Uno dei più bei libri del mondo. Cara Sara hai saputo renderne la magia e la bellezza con parole perfette. Grazie, hai il dono della sintesi e della sintesi profonda, anche se può sembrare una contraddizione.

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