Picnic All’Inferno

Vi sono dei momenti nei quali ci si ferma a riflettere su quanto si è fatto nella vita… su cosa si vorrà fare… e ci si interroga sul proprio vissuto…

Ben ritrovati cari amici bradipolettori. Per ‘articolo di questo mese sono stato un poco indeciso sul titolo che, come sapete, è il titolo di una canzone dalla quale prendo spunto. Ma andiamo con ordine: vi sono dei momenti nei quali ci si ferma a riflettere su quanto si è fatto nella vita, su cosa si fa e su cosa si vorrà fare. In poche parole ci si interroga sul proprio vissuto. Lo sapete, dalla mia presentazione sul sito, di quale leva sia: il 1956 l’anno in cui si era tutti poeti, come qualcuno cantava. Così, come dicevo, ci sono momenti, pause di riflessione. Ho avuto la fortuna di essere testimone dal vivo di eventi irripetibili. Nato dalla generazione che usciva dalla seconda guerra mondiale sono passato per gli anni del boom economico, ho seguito il bel duello tecnologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la conquista dello spazio, culminato con lo sbarco dell’uomo sulla Luna che ho visto in diretta. Sono stato testimone della rivoluzione musicale partita dal beat degli anni ’60 per continuare con il prog degli anni ’70. E allora gruppi come i Beatles o i King Crimson, PFM e Banco, cantautori come De Andrè, Guccini e via discorrendo, sono entrati a far parte della mia quotidianità.

E non voglio dimenticare il movimento sessantottino, giovani e meno giovani uniti per richiedere riforme, per far riconoscere diritti, il servizio militare obbligatorio affiancato dal servizio civile prima di diventare facoltativo. E si potrebbe continuare citando l’avvento delle radio libere nelle quali ho mosso i miei primi passi come speaker, per arrivare alla liberalizzazione dell’etere radiofonico e televisivo. Ma ho visto anche come un piccolo stato asiatico ha messo in crisi la grande potenza occidentale, leggi guerra in Vietnam, e della rivoluzione cubana con Fidel Castro e Che Guevara. Ma anche della rivoluzione di Praga e dell’invasione russa, dell’appoggio di questi ultimi nella guerra afgana conclusasi con gli accordi di Ginevra dopo anni di sangue e distruzione. E ancora la costruzione e poi la caduta del muro di Berlino, per concludere con il tragico quotidiano del fenomeno dei migranti che io, comunque, continuo a chiamare profughi. Quante cose, tutte da ricordare, sulle quali fermarsi e meditare per quanto hanno inciso con la storia.  All’inizio dicevo che avevo dei dubbi su come intitolare l’articolo, su quale canzone scegliere e, confesso, avevo pensato a Giorgio Gaber con il brano tratto dal suo album “La mia generazione ha perso” dal titolo “La razza in estinzione” che v’invito ad ascoltare.

E’ davvero incredibile come la mia generazione, che ha avuto la fortuna di non passare per una guerra, di vivere quanto sopra ho scritto, di aver avuto la fortuna di avere testimoni oculari, leggi i propri genitori, i nonni, di quali nefandezze sia stato capace l’uomo, abbia dimenticato, non ne abbia fatto memoria e sia arrivata a negare l’olocausto, a pensare che i treni della memoria che portano i nostri ragazzi a toccare con mano quale orrore siano stati i campi di concentramento, siano di parte. A dimenticare che nella nostra storia abbiamo avuto delle leggi contro la razza e che oggi, nel nostro parlamento un’intera ala non si sia schierata a favore della commissione contro il razzismo con presidenza Segre e che quest’ultima sia costretta ad avere una scorta. Di come negli stadi si continui a disprezzare e offendere calciatori stranieri, specie se di pelle più scura e che biechi politici minimizzino. Di come aree geografiche si schierino contro lo straniero dimenticando di come nelle stesse aree ci si denigrava, e lo si fa ancora, con chi proviene da altre regioni. Poi, come sapete, continuo a pensare che non tutto sia perduto, che il bicchiere possa ancora essere mezzo pieno.

Ed ecco che spunta una ragazzina svedese che ci fa ritornare sulla Terra, su come siamo riusciti a rovinare il nostro presente, ma soprattutto, il futuro dei nostri figli. E anche qui alcuni imbecilli, capi di partito e anche direttori di giornali, che cercano in tutti i modi di infangare una ragazzina, di metterla alla berlina. Ma i nostri figli ci hanno dato un avvertimento: fermiamoci fin che siamo in tempo e cerchiamo di cambiare rotta. Si può, è nostro dovere. La canzone che dà il titolo è il nuovo lavoro di Piero Pelù, che, i soliti, hanno criticato dandogli dell’opportunista, dimenticando, ma sicuramente non lo sanno o non vogliono saperlo, lui si è sempre schierato contro i poteri forti, di qualsiasi colore. Ma questa è un’altra storia.

GIANFRANCO GONELLA

Foto: Gianfranco Gonella

Il Mito Ostinato ritorna martedì 10 dicembre

2 Comments

  1. Mauro Ventigeno Reply

    Gianfranco ai 3 P:preciso, puntuale e pungente. Come al solito la grande capacità di sintesi nel proporre temi di riflessione. L’unica pecca è la sensatezza dei temi che non verranno, molto probabilmente, colti da chi dovrebbe. Come scriveva De André : “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso, sempre, coinvolti”

  2. Gian Reply

    Grazie per le tue parole, Mauro.
    Si, forse hai ragione quando scrivi che difficilmente chi dovrebbe cogliere maggiori spunti di riflessione non verrà a trovarci in questo sito.
    Ma come appunto dico, difficilmente, non impossibile. Chissà, magari per sbaglio qualcuno potrebbe arrivarci. E’ la teoria del bicchiere mezzo pieno.
    Alla prossima.

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