Periferie

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Periferie: Amarle, conoscerle, aiutarle e portarle alla pari delle zone centrali di ogni città. 
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Periferie: è l’insieme delle zone di una città disposte ai margini esterni del principale o storico insediamento. Esso deriva dai vocaboli greci perí (intorno) e pherein (portare). Il portare intorno potrebbe essere il compito principale – quasi un manifesto programmatico – di ogni saggia amministrazione comunale di una grande città, garantire gli stessi servizi, collocati e realizzati nelle zone centrali.
Da questo preambolo avrete capito che ritorno a parlarvi di quartieri, di borghi della mia città – Torino – cosa già fatta in un articolo del 29 ottobre 2021.
Di conseguenza i lettori non residenti nella città sabauda si chiederanno il perché dovrebbero leggere questo articolo, ma è proprio a loro che mi rivolgo, perché gradirei ricevere da chi vive in altre periferie/quartieri/borghi i loro racconti, i loro ricordi.
Sono nato in periferia, e sarà per questo che continuo ad amarle, e non tutte sono uguali, alcune sono soltanto dei dormitori, altre hanno vita propria e sono ricche d’iniziative. Spesso – negli anni 60-70 – tutto ruotava intorno all’oratorio, alla sede di partito, alla società sportiva, ai gruppi scout, oppure a iniziative spontanee come comitati e gruppi di varia natura.
Oggi vivo – esattamente da 8 anni – in un quartiere che proprio periferico non è, anzi può essere considerato tra i più importanti dopo il Centro e la Crocetta: Santa Rita.
Evito di raccontarvi la sua storia, vi basta cliccare sul suo nome, e una pagina di wikipedia vi permetterà di scoprire tutto o quasi di lui.
Le mie frequentazioni passate si riferiscono a due periodi ben precisi.
Anni ’70: luogo Stadio Comunale, pur non avendo simpatie particolari assistevo a partite – nelle famose curve Maratona e Filadelfia – sia del Torino, sia della Juventus, alle volte anche solo per gli ultimi 20′ quando le porte si aprivano per permettere il deflusso degli spettatori, che nelle cosiddette partite di cartello superavano le 60.000 unità.
Fine anni ’80: per lunghi 7 anni Santa Rita è stato il quartiere della seconda fase del mio impegno nel sociale.
Di conseguenza quando nel 2014 è diventato il mio luogo di residenza, le sue vie, le sue piazze erano da me perfettamente conosciute.
Come scritto nel precedente articolo, non amo particolarmente il quartiere, dissi che “non aveva un’anima”, provo a spiegarmi meglio, in realtà in passato un’anima c’è l’ha avuta eccome, oggi – forse complice il fatto che i suoi abitanti hanno una media di età molto elevata – tra cui il sottoscritto… sic… sic… – manca d’iniziative e luoghi di aggregazione che valga la pena frequentare, salvo rarissime eccezioni. Le eccezioni sono i due parchi, parco Rignon con la sua bella villa Amoretti – sede di una biblioteca comunale – e piazza D’Armi, a pochi passi dallo stadio e dal palazzetto sede di molti eventi: concerti, tornei di tennis, Eurovision, etc…
Oltre un anno fa scoprii che era intenzione da parte di un’associazione – fondata tra l’altro da due librerie importanti della città – di realizzare un libro sul quartiere, presi nota e poi dissi a mio figlio: non partecipo, non saprei cosa raccontare… La sua risposta è stata: ma come hai operato in questa zona per parecchi anni e non hai nulla da raccontare? Risposta: Ah sì, benissimo, allora racconterò proprio qualcosa che ti riguarda…
Così mi sono messo al lavoro, e pensa che ti ripensa ho messo insieme un ricordo che riguarda la Juventus – come si svolgeva l’allenamento negli anni 70 – il mio arrivo a Santa Rita in ambito sociale e un simpatico episodio accaduto – tra i protagonisti mio figlio Gabriele – nel centro operativo dell’associazione di cui facevo parte. Il tutto è stato dato alle stampe circa un mese fa dall’editrice torinese Graphot, e presentato lo scorso 15 dicembre nella Sala dei Centomila – ex sede dell’omonimo comitato di quartiere – davanti ad oltre 100 persone.
Personalmente è stata una doppia emozione, come prima cosa veder stampato il mio racconto – insieme a molti altri – e poter ritornare dopo oltre trent’anni nel luogo dove lavorai per due edizioni dell’Estate Ragazzi, attività ricreativa e educativa, rivolta in particolare a ragazzi delle scuole medie.
Dopo questa lunga parentesi legata al libro Santa Rita Stories, concludo parlandovi di sale cinematografiche, Torino aveva una fitta rete di locali presenti in ogni quartiere, oltre a quelli parrocchiali, in Santa Rita erano almeno tre. Oggi soltanto una, con due piccole e accoglienti sale, facente parte del circuito dei cinema d’essai – il termine viene utilizzato in Italia per riferirsi a tutte quelle sale le cui scelte di cartellone si basano sulla qualità artistica dei film – il suo nome Due Giardini. Apre o meglio riapre – dopo anni di chiusura e restauro – nel 1998, e a oltre vent’anni di distanza continua ad essere un presidio culturale nel quartiere. Purtroppo complice la tragedia del Cinema Statuto e il cambiamento del modo di usufruire della visione dei film, moltissime sale hanno chiuso i battenti o alla meno peggio si sono trasformate in sale a luci rosse, anch’esse oggi del tutto scomparse.
Periferie, quartieri, borghi, luoghi che si sono trasformati e hanno forse perso la cosa più importante, essere con tutte le difficoltà del caso: comunità. Chi governa le nostre città dovrebbe mettere tra le priorità le periferie, e non considerarle figlie di serie B, e non lasciare l’iniziativa solo alla buona volontà – lodevole e da sostenere – degli abitanti.
Quali sono le vostre periferie, i vostri quartieri, i vostri borghi, raccontatemi/ci i vostri ricordi, bradipodiario vi apre le porte!
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Foto: Rino Sciaraffa
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Piccole Storie Quotidiane ritorna mercoledì 22 febbraio
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2 Comments

  1. Rino Sciaraffa Reply

    E’ stato un bell’appuntamento e tu sei stato un bravissimo testimone circa il tuo lavoro sociale ed educativo nel quartiere. Grazie caro Beppe.

  2. Enea Solinas Reply

    Io personalmente vivo nel quadrilatero centrale e pur avendo anch’esso molte contraddizioni è cambiato ma gode di un giovamento che lo fa presumo stare dall’altra parte della bilancia delle disparità accresciute in anni di gestione olimpica, post-olimpica… Eventi eccezionali, perdita di senso di regole e comunità.
    Discorso complesso che mi sta facendo riflettere a fasi alterne da qualche settimana a questa parte.
    Sarebbe opportuno considerare le periferie come metafore dei tanti decentramenti e dislocamenti, come differenze che trovano risorse nei comuni denominatore, nei movimenti e nelle prospettive ri-costituite dal basso.
    Forse è un mio dislocamento o un senso di spaesamento rispetto a dove vivo.
    Forse mi sono allontanato dal tuo racconto.

    Colgo l’occasione per immaginare un evento piccolo bradipo di riflessione a partire da questo libro di cui tu sei tra gli autori.
    Buon tutto!

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