di Enea Solinas pixabay.com
Viviamo in più di una realtà… concreta, virtuale, immaginaria, il mondo dei sogni, personali, forse ancora in parte collettivi
Questa puntata delle cronache del dopo virus è uno sfogo. Contro la memoria corta, contro la disattenzione e la confusione. Voci dalla strada è il titolo di un romanzo di Philip K. Dick, ma ne ho raccolte due che a diverso modo sottolineavano come la tragica cronaca della guerra avesse fatto passare in secondo piano l’inflazionata e di certo più ripetitiva cronaca sulla pandemia. E le voci parlavano così come se si trattasse di una liberazione.
Parallelamente alla pandemia è stato notato da più parti c’è stato il contagio e l’influsso della infodemia e di una serie di fenomeni mediatici poco edificanti e irragionevoli, sia su un piano dello spirito critico, soppresso o delegato ad altri lidi, sia sul piano dell’immaginario.
In questo periodo storico sono accadute e stanno accadendo molti fenomeni, e vi sono più notizie e ambiti che hanno a diverso titolo occupato uno spazio considerevole nell’informazione.
Ma la reazione di pancia e limitata a due casi isolati raggela in quella che pretenderebbe essere una constatazione ironica sul peso dell’informazione e delle notizie intese etimologicamente come novità.
Intanto la pandemia sta continuando e cambiando, rallentando, finirà la fase emergenziale della quarta ondata. Ma non posso provare un senso di disgusto in queste annotazioni, spero isolate e da me stesso fraintese nel loro tono. Drammi diversi, tragedie sociali, umane e storiche che vengono sostituite con una facilità di pensiero (???) che denota poca empatia, e poca attenzione. Memoria corta, e una mancanza di rispetto. Soprattutto confusione. Questa rimbalza personalmente anche nel mio personale immaginario che ha vissuto e vive dei forti contrasti in cerca di un agire non-violento e impulsivo.
Inutile dare la colpa ai mezzi, o sottolineare il loro uso intelligente in relazione con l’intelligenza e la sensibilità di chi li adopera. Potrei raccontarvi e ammettere delle sonore figuracce nel più ampio ambito della comunicazione.
Sono anche abbastanza stanco di sfogarmi e di riflettere.
Mi manca quel senso di concretezza, che fa presa non solo sul sentire personale o sull’indefinito mondo delle possibilità. Oggigiorno rese contemporanee e ambigue dall’uso massiccio disparato e capillare delle tecnologie virtuali di social networking, sempre più semplificatrice e banalizzanti. E sempre più indistinte e imperanti.
Eppure anche io che non utilizzo molti social o ne faccio e ho pregiudizi (in)fondati del tutto personali, sono parte di una realtà che da anni è stratificata in più di una realtà.
La guerra è vicina ci riguarda politicamente, stiamo contribuendo a sostenerla, come reazione ad un atto aggressivo iniziato già prima dell’uso vero e proprio di armi.
Sento la mancanza di qualche ideale da perseguire, oltre che da enunciare come fosse retorica.
Sento che questo periodo storico ha avvicinato questioni e allontanato le persone, ma ha fatto sentire più reali certe necessità e bisogni, sospendendo o trasformando i sogni, i desideri e le possibilità che questi si concretizzino.
Il mondo sociale va avanti lo stesso, implicato sempre maggiormente in una concatenazione di problematiche e di possibili rimedi o soluzioni parziali.
Considerarsi meno fondamentali e più determinanti è un atto di umiltà e di riscatto.
Riflettere, tacendo e sospendendo il giudizio e il ricorso a frasi fatte, un transitoria cura che apre un po’ di vuoto, amplia i margini di azione e interazione umana.
Evitare e smettere di atteggiarsi in un certo modo ci può ricondurre anche ad un rinnovato sentimento di pietas senza che questo venga fagocitato nel paternalismo o nell’enfasi del dolore, adeguato a diffondere angosce ulteriori e drammi cui siamo spettatori difesi dalla nostra maschera di spettatori.
Vorrei potermi dire sognatore nonostante le molte disillusioni e le critiche che ho rivolto e generalizzato, sia a me che verso l’agire di altri.
Vorrei fare ricorso alla scienza delle soluzioni immaginarie. Vorrei poter inventare e reinventarsi prendendo per buono quell’inventare che è collegato al fare l’inventario: guardare a ciò che c’è, considerare ciò di cui sentiamo la mancanza, e alimentare il desiderio più consapevoli dei propri limiti.
Vorrei che l’ingorda e totalizzante onnivora famelica ridda di pensieri che mi fa scoppiare la testa di domande e di sogni ad un tempo, sia l’irrisione involontaria di quel mio sentirmi sempre dalla parte del torto e comprensivo del disagio e del dolore oltre la crepa. Penso che Putin sia una figura tragica, e provo ad un tempo odio e pietà per lui, perché è un essere umano che si trova ad incarnare il potere della distruzione, lo agisce ed è colpevole per sua volontà. Provo più compassione e pietà per le vittime della guerra. Provo imbarazzo per quelle frasi colte per strada. Provo indignazione e scetticismo per la retorica dell’Occidente che gioca la sua partita non scevra da interessi geopolitici.
Provo orrore per la piega degli eventi e per la contraddittorietà che si palesa. Provo altrettanto odio e pietà per altri esseri umani che concorrono allo stesso gioco.
Provo pietà per il popolo russo contrario a Putin e alle sue politiche e alle sue non nuove azioni belliche e mire zariste e nostalgico sognatore di una nuova superpotenza che rievochi passati ingloriosi dell’Unione Sovietica.
Provo a non dimenticare e a non soffrire di smemoratezza, a trovare altri esempi, altri principi ed ideali.
Provo pragmaticamente a fare il possibile, accettando l’impossibilità di decidere le sorti, se non mediando con questa realtà storica, sociale, culturale.
Provo ad essere realista e provo a capire un poco, nel senso ancora una volta etimologico di contenere, di limitare. Ma spesso prevale più potente e ingovernabile, la voglia e la necessità di sfogare in qualche modo la volontà di andare in direzione ostinata e contraria.
A volte mi chiedo perché mi ostini a pensarla in un certo modo.
Mi chiedo se questo horror pleni da Re Ubu, non sia un’irrisione e una relativizzazione. Confido forse nell’immaginazione che non aggiri gli ostacoli, ma sia apportatrice di soluzioni sia immaginarie che di conseguenza concrete?
Si avvicina la primavera, e ad aprile oltre alla fine dell’emergenza decretata dal governo sulla base di dati statistici e di previsioni ragionevoli, subito dopo Pasqua, comincerò a proporre momenti di sosta lenti bradipi, per chi è interessato. Un piccolo gruppo di letture condivise, di quel genere letterario che evoca più che dire… ed è poco frequentato o forse lo è solo in apparenza, in realtà gode di più considerazione di quanto non si possa desumere dai dati di vendita di quella merce non merce che sono i libri. Mi sto riferendo alla poesia, alla letteratura in versi, che apre spiragli sia di speranza che all’immaginazione e senza nemmeno raccontare esprime i sentimenti umani più disparati ed è un ponte invisibile tra modi altrimenti condannati a non incontrarsi mai.
Gli incontri sono un antidoto e una prevenzione della guerra, mentre la diplomazia spesso è (anche) l’arte della guerra sotto altre vesti, portata avanti per redigere trattati necessari sui quali fondare probabilmente i presupposti di futuri conflitti.
La Storia insegna, mi sento volitivo, ma pessimista, e ve l’avevo preannunciato, queste cronache sono uno sfogo.
Che finisce qui.
Chi vuol dialogare a distanza commenti. Altrimenti lo sfogo rimarrà tale, nascosto, mascherato sotto le vesti di una riflessione “pacata”ed opinabile…
.Cronache Del Dopo Virus ritorna mercoledì 6 aprile
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