La Valutazione

di Laura Martini  

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Faccio sempre ciò che non so fare, per imparare come va fatto. Vincent Van Gogh

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Alla fine di un anno scolastico arriva, inevitabile ma altrettanto indispensabile, il momento della valutazione. Un argomento difficile che da sempre suscita opinioni discordanti, sia tra chi deve necessariamente eseguire l’atto del valutare, sia tra coloro che lo devono interpretare alla consegna della scheda informativa o pagella.

Non è un caso che, ogni cambiamento connesso all’Istruzione Scolastica, punti immediatamente a “rivoluzionare” il sistema valutativo, invece che mettere mano a problematiche ben più serie e urgenti che possano garantire un rinnovamento della didattica e di parti funzionali ad essa.

Nella mia lunga esperienza di docente ho sperimentato vari decreti legge, ognuno ovviamente con la pretesa di essere migliore del precedente; così nel tempo a seconda del governo in carica, ho provato i voti in decimi, i giudizi sintetici, i giudizi descrittivi che si sono anche ripetuti a cicli alterni.

Ognuno di questi passaggi causa un temporaneo black out del sistema scolastico, in quanto impegna tutti, docenti in primis, a rivedere, rielaborare e frequentare corsi “formativi”, per capire e poter successivamente spiegare la scelta adottata a genitori e alunni.

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Si intuisce anche da profani che, se un qualunque pensiero, scritto nella lingua di appartenenza, ha bisogno di traduzione per essere compreso, significa che il messaggio proposto non è chiaro, forse neanche da parte di chi lo ha elaborato.

Questo è uno dei motivi per cui ho rivisto nel tempo la mia diffidenza nei confronti dei numeri, quindi dei voti in decimi, perché le alternative messe in campo finora, non sono quasi mai state in grado di stabilire realmente il percorso formativo degli studenti e l’azione didattica degli insegnanti, anzi spesso ne hanno limitato la libertà.

Tante riflessioni personali e con colleghi, scambi di opinioni con alunni e genitori, hanno dimostrato che qualsiasi parola sia usata al posto di un numero, ad esempio “BASE” (giudizio descrittivo) o “DISCRETO” (giudizio sintetico), provoca in simultanea la domanda “quindi significa che è un 6 o un 7, un 8 o un 9?”.

Mi sono quindi quasi convinta che, documentare il percorso di apprendimento attraverso i numeri, può essere in fondo la soluzione migliore, quantomeno la più comprensibile per tutti, soprattutto se, come me, non si ritiene la valutazione il fattore primario dell’attività scolastica.

Purtroppo il fatto che alla resa dei conti, parola non casuale, tutto si riduca al solo traguardo valutativo, distoglie, come già detto, l’attenzione da quelli più importanti legati all’azione educativa della scuola.

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Se pensiamo al significato latino del valutare, cioè dare valore a qualcosa, nel caso specifico, valorizzare ogni alunno, siamo costretti a capire che solo un significativo cambiamento culturale può aiutarci a eliminare ciò che nell’immaginario di molti, sottende una visione quasi punitiva dell’azione valutativa.

Il vero obiettivo è creare invece un rapporto tra tutte le parti che cerchi di spiegare il cammino intrapreso a garanzia di un costante sviluppo verso il miglioramento, un incentivo a progredire nella propria crescita personale, offrendo sempre nuove opportunità di apprendimento.

Queste considerazioni mi hanno portato negli anni ad immaginare la valutazione come uno specchio, in cui ognuno si osserva e prende coscienza di sé, secondo modalità e tempi diversi, fino a raggiungere un grado di consapevolezza tale, da conseguire come obiettivo finale quello dell’autovalutazione.

L’autovalutazione, insieme al concetto di inclusione, può essere una strategia fondamentale nel rapporto tra docente e allievo, utile sia a valorizzare le diversità, ma soprattutto a immaginare sé stessi in modo prospettico e in divenire.   

Sono consapevole comunque che la mia disciplina, Educazione Motoria, è avvantaggiata rispetto a ciò che ho scritto finora, in quanto la modalità di valutazione è inserita in un processo dinamico che sfrutta ogni singola lezione per avere indicazioni utili e aggiornate dei progressi realizzati.

Il momento ludico infatti crea un rapporto di trasparenza che punta a scoprire ciò che si è appreso, come lo si è appreso e cosa si dovrà apprendere, senza però la pretesa di essere un valore assoluto, anzi la sua variabilità ed incertezza lo rendono più attendibile di altri rispetto a ciò che si va a verificare, sia essa un’esercitazione individuale o uno sport di squadra, perché sia l’aspetto quantitativo che qualitativo fotografano in tempo reale le competenze che si stanno mettendo in gioco.

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Ciò che invece è più o meno simile in tutte le discipline, sono i tre stadi che accompagnano la valutazione: si parte quasi sempre da una valutazione diagnostica iniziale, per capire e conoscere il punto di partenza di ciascuno, si procede poi con la valutazione formativa, che consente in itinere di ampliare, cambiare e fare il punto sul percorso intrapreso, quindi si conclude con la valutazione sommativa finale, che cerca di fornire un feedback abbastanza preciso delle molteplici aree di riferimento e delle condizioni ambientali in cui il processo didattico ed educativo è avvenuto.

A prescindere dal codice comunicativo che si sceglie, la valutazione è di fatto un atto necessario, indubbiamente molto complesso, ma è anche una sfida che va affrontata con grande senso di responsabilità, per non trasformarla in un semplice adempimento burocratico o addirittura un giudizio arbitrario legato alle sole prestazioni individuali.

Per questo deve essere frutto di una condivisione, di un’unità d’intenti che espanda i suoi orizzonti e confini fino ad essere in grado di dare ai nostri alunni le migliori condizioni possibili per sviluppare tutte le loro capacità e inseguire i loro sogni.     

Foto: Laura Martini

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