Jazz Oltre I Confini

di Andrea Sbaffi

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Max Roach Double Quartet, World Saxophone Quartet, Winton Marsalis Sextet, Live at JazBo  (Palasport di Bologna, 31 gennaio 1989)

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L’autunno del 1988 è stata un’altra stagione spartiacque!

Finito il liceo e proiettato nel mondo universitario, che per me coincise con il primo di tanti successivi pendolarismi, in questo caso fra Bologna e Firenze, emerse l’esigenza di rivedere qualche priorità anche in campo musicale.

Abbandonati alcuni progetti, ci avventurammo con convinzione e curiosità nelle prime esperienze nel mondo del Jazz: oltre a Zino e Gigi, il nostro riferimento era Guglielmo che, a differenza nostra, non iniziò l’università per concentrarsi unicamente sullo studio del sassofono!

Quando io mi alzavo (anche prima dell’alba) per prendere il treno e andare a Firenze all’università, Guglielmo non era forse ancora rientrato dalle jam sessions nei Jazz Club bolognesi… Il pomeriggio, invece, si studiava 3-4 assoli di Charlie Parker o John Coltrane!

Naturale che, nell’arco di pochi mesi, il suo livello fosse cresciuto a tal punto da portarlo a cercare musicisti “veri” e iniziare ad entrare in quel mondo in modo professionale, cosa che continua a fare con successo da allora (inizialmente era riuscito anche a coinvolgermi, come ho avuto modo di raccontare nell’articolo sul concerto dei Pink Floyd di qualche mese fa…).

Questi nuovi stimoli non riguardavano, ovviamente, solo la musica “suonata”, ma si riflettevano anche sulla scelta dei concerti da vedere: non ci bastava più frequentare i jazz club (che a Bologna erano tutte “osterie”!), ma monitoravamo con attenzione le date dei concerti esposte in alcuni negozi di dischi, modalità consueta in epoca pre-internet e e-commerce.

Quando abbiamo saputo delle tre serate dedicate a Charles Mingus, scomparso dieci anni prima nel 1979, curate da Max Roach nell’ambito del programma di JazBo1989, abbiamo scelto la serata che ci sembrava più stimolante (qui si può trovare anche la locandina), per la presenza dello stesso Max Roach con la particolare formazione in Double Quartet, oltre al sestetto di Winton Marsalis e al World Saxophone Quartet.

Max Roach, purtroppo scomparso nel 2007, alla fine degli anni ‘80 era già uno dei “grandi vecchi” del jazz! Nato nel 1928, iniziò a suonare giovanissimo la batteria fin dai primi anni ‘40, esordendo nel 1941 nell’orchestra di Duke Ellington e collaborando con tutti gli esponenti del nascente BeBop, come Charlie Parker, Dizzie Gillespie, Thelonious Monk, Bud Powell, Coleman Hawkins e Miles Davis.

Il BeBop può essere considerata la prima vera rivoluzione del Jazz, che fino a quel momento si era evoluto abbastanza naturalmente dal primo RagTime allo Swing delle grandi orchestre: la nuova concezione di melodia ed armonia, caratterizzata dalla grande libertà espressiva che oggi ci appare scontata (ad esempio nella struttura di ogni Standard di Jazz, con l’esposizione del “tema” e poi la sequenza di assoli dei vari strumenti, su un giro di accordi stabiliti), non sarebbe stata forse possibile se non avesse riguardato anche la parte ritmica. La batteria, fino a quel momento considerata sostanzialmente lo strumento in grado di assicurare il tempo al resto dei musicisti, diventò sempre più strumento espressivo, capace di fornire le dinamiche all’esecuzione e in grado di dialogare con gli altri strumenti: non è un caso che le cosiddette “Four”, ovvero quattro battute di assolo di batteria, alternate ad altre quattro suonate a turno dagli altri strumenti, furono introdotte in questo periodo.

Max Roach fu uno dei batteristi più innovativi di quel movimento e fra i più influenti sulle generazioni future, potremmo dire uno dei padri della batteria moderna! Ruolo consolidato nelle successive esperienze con geni del calibro di Charles Mingus, a cui era dedicata la tre giorni di Bologna, e degli esponenti del Free Jazz degli anni ‘60.

Le sue sperimentazioni continuarono negli anni successivi, ad esempio con incisioni di brani per sola batteria, fino a formazioni inconsuete, come questo Double Quartet, composto cioè da un quartetto d’archi ad affiancare il consueto jazz quartet.

L’altro elemento per me di forte richiamo di quella serata era la presenza del trombettista Wynton Marsalis, in formazione di sestetto. Fratello minore di quel Branford sassofonista (che abbiamo già incontrato, in precedenti articoli, con Sting, Gil Evans, Phil Collins, etc.) e secondo di una dinastia molto profilica (con i fratelli minori Delfeayo e Jason, tutti figli del pianista Ellis), esordì a soli 20 anni con Herbie Hancock, venendo così proiettato nel gotha del jazz mondiale, con una carriera contraddistinta nel corso degli anni da un certo “rigore” nell’approccio in linea con la tradizione dell’Hard Bop degli anni ‘50, elemento di una certa polemica con i musicisti più avanguardisti degli anni ‘60 e ‘70. Poco più che trentenne, fu chiamato a dirigere il Lincoln Center di New York, che sotto la sua guida divenne uno dei poli musicali e culturali della città.

Conoscendo già una parte della produzione con il fratello Branford, c’era la curiosità di vederlo all’opera e con una formazione nuova.

Infine, il World Saxophone Quartet, formazione di soli sassofoni creata nel 1977 e costituita da due contralti, un tenore e un baritono, che potrebbe sembrare fin troppo “estrema”, ma che invece ricordo caratterizzata da un approccio, tutto sommato, abbastanza accademico pur certo con arrangiamenti inconsueti.

Non ho ricordi più precisi delle scalette di quella serata, né di brani in particolare: ciò che mi è certamente rimasta è la sensazione che non fosse abbastanza…, che finita la serata ci fosse ancora tanto da ascoltare, tanti dischi da cercare, nuovi autori da esplorare… Insomma, ciò che dovrebbe accadere dopo ogni concerto! Soprattutto, la consapevolezza che da quel momento avrei continuato ad abitare gli spazi del Jazz, scoprendone sfaccettature, correnti, autori, ma soprattutto tanti musicisti fenomenali. Appuntamento al prossimo articolo: Umbria Jazz 1996

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Foto: Andrea Sbaffi

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Io C’ero ritorna martedì 3 gennaio

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