Doni

di Enea Solinas

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Riattivare il senso di comunità a partire dal dono

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L’iniziativa che da più tempo seguo all’interno del contesto de lo spaccio di cultura è rappresentato da La comunità del Dono.

Prima di raccontarvi nel dettaglio di cosa si tratta mi soffermo proprio su questa parola, dono, che può rivelare delle ambivalenze e conferire altresì un incipit di significazione che ci ricorda e coinvolge in quanto esseri umani prima ancora che attori sociali distinti per caratteristiche e condizioni per l’appunto sociali.

Il dono è qualcosa di antico e la riflessione che vi pongo è anche un invito a smarcarsi e a svincolarsi da quell’attitudine o quei senso latente di intendere il dono come un godimento, un accontentare aspettative e desideri spesso indotti della cultura del consumo o dell’idea che il dono sia sempre uno scambio che presuppone una restituzione come atto del ripagare, contraccambiare, sull’oscillazione (e l’aspettativa) che ad un dare corrisponda un ricevere.

Donare è creare legami, è donarsi in quanto atto che intrinsecamente si offre a sé e al prossimo. È un gesto gravido di conseguenze in ogni caso, e spesso – il bello è questo – tali conseguenze sono immateriali e imprevedibili. E l’effetto può essere duplice se agito con consapevolezza di questa imprevedibilità e con istinto gratuito, che offre e abban/dona qualcosa di sé. Una testimonianza, un’emozione, un particolare sentire in cui riconoscere un affetto possono essere doni ambivalenti, ma creano i presupposti perché si tessano dei legami. E un legame implica un rapporto di reciprocità e corresponsabilità.

Una delle questioni più complesse e più obliate nella società contemporanea è come rispondere alla necessità. Tralascio ogni risonanza di carattere metafisico che pure questa parola conserva in sé con il suo carico evocativo di angoscia, costrizione, fragilità della condizione umana e accoglimento del suo mistero. Cito appena queste istanze (ipostasi) per farle riecheggiare perché anch’essa talvolta sono all’origine di un’esigenza del lasciar che qualcosa di nostro – quasi indicibile – venga rac-colto e compreso per non sottovalutarne il senso che improprie o retoriche parole lasciano possono solo lasciare intravedere o subodorare.

Anticamente le comunità si costituivano e si riunivano proprio la dove si concentrava questo gesto, quest’offerta – liberatoria ma contenente anche un veleno- che la sapienza comune e spesso implicita riusciva a trasformare senza rimanerne intossicata. È una concezione arcaica che sopravvive nelle civiltà cosiddette primitive – e in maniera latente anche nella nostra industriale e tecnologica, sommersa da strati di sovrastrutture e codici convenzionali e comportamentali, dei singoli come delle gruppalità.

Fatta questa doverosa premessa di carattere antropologico, vi descrivo l’iniziativa della comunità del dono così per come si sviluppa, quasi fosse la collana di perle che ha per filo conduttore proprio questo elemento, il dono e il donarsi.

Uno degli slogan de Lo spaccio di cultura è posto in forma di domanda: non sarebbe bello se aiutare gli altri fosse un modo per aiutare sé stessi?

La domanda è di per sé un dono prezioso, scardina certezze nel suo porsi – nel suo offrirsi – e apre a una serie di considerazioni.

Il Natale è la festività sacra che è stata nella contemporaneità deturpata e desacralizzata a favore dell’abitudine al consumo? Il dono è un pretesto? Benissimo…. Recuperando un’attenzione e una cura che allarga lo sguardo a chi non può garantirsi l’appagamento di piccoli grandi desideri, un ente predispone (c’è una certa tecnica piegata alla ritualità del processo) dei luoghi di incontro, inciampo, di servizio e di mutua partecipazione che nel periodo natalizio si trasformano in ricettori di lettere per Babbo Natale.

La società è distratta del flusso ininterrotto di news e chiacchiericcio, aggreghiamo e creiamo legame anche sulla basa di una latente voglia di essere più solidali e diamo l’opportunità a persone di donarsi un atto del donare (tempo, denaro, partecipazione aiuto di vario tipo).

Avviciniamo e soddisfiamo piccoli desideri di bambini che non riceverebbero doni (dilettevoli come utili) e entriamo in legame con bisogni delle relative famiglie che diversamente rimarrebbero inespressi e inascoltati. La comunità del dono in due anni ha fatto lavoro di ricerca sociale e avvicinando più di cento famiglie in condizione di fragilità sociale e meno fortunate, ha garantito supporto per vari bisogni (di carattere sanitario, educativo, sociale). ha soddisfatto piccoli desideri e risposto a reali bisogni. Favorito l’ingresso nel mondo del lavoro di un centinaio di persone, con un effetto emancipatorio che sedimenta e radica un cambiamento effettivo nel nucleo famigliare.

Ha raccolto bisogni e di storie di decine di persone e le ha intrecciate insieme in un divenire che usufruisce anche di una tecnologia creata apposta per facilitare l’inclusione e la coesione sociale, attraverso il social network guidato e supervisionato da operatori culturali del Portale dei Saperi. Questo strumento avvicina domande e offerte, sfrutta la tecnologia degli algoritmi e un’intelligenza che riduce le disparità linguistiche e le dispersioni di significato tramite un dizionario analogico che individua nessi tra esperienze e competenze formali e informali.

La Rete Italiana di Cultura Popolare ne supervisiona il processo e offre a sua volta questa modalità e questo strumento ad altri enti, così come coinvolge diverse realtà del territorio a condividere parti del lavoro e mettere a disposizione mezzi e possibilità per assolvere in maniera solidale alla richieste pervenute.

Ma il dono come detto prelude alla reciprocità e al coinvolgimento, per cui le persone non vengono solo accolte in una dinamica assistenziale, ma coinvolte in un processo partecipativo che raccoglie disponibilità ulteriori e proposte e risorse come si diceva un tempo “dal basso”.

Alcuni dati significativi: la comunità del dono è composta al 90% da famiglie straniere (tenendo presente che finora ha operato prevalentemente su un quartiere densamente multietnico come Porta Palazzo) ed è attivata prevalentemente da donne e giovani, che intendono e comprendono sia le opportunità che il senso di comunità. Un dato empirico e statistico che sottolineo a contrapposizione di tanti discorsi e retaggi culturali che persistono in una società oltre che consumistica diversamente patriarcale. Questo conferma fenomeni analoghi di mutualità ed emancipazione come le iniziative fondate sul microcredito teorizzato tra gli altri dal premio Nobel Muhammad Yunus.

Eppure è una caratteristica che emerge con più generosità e generatività proprio da iniziative che come detto usufruiscono anche della struttura organizzativa (senza il cui lavoro non accadrebbe nulla di tutto ciò) e sviluppano politiche attive di emancipazione e inclusione sociale. Una risposta propriamente politica alla domanda sui diritti sociali che spesso ahimè dai governi locali o nazionali viene disattesa e inquinata invece da interessi particolari.

Da questo giovedì 8 fino al prossimo 20 dicembre le cassette delle lettere delle portinerie torinesi sono presenti anche negli altri presidi aperti sul territorio di Aurora (Lungo Dora Savona 38) e Borgo San Paolo (via Osasco 19/A).

Un allargamento della platea e dell’azione sul territorio che si fa forza dei risultati e della reputazione ottenuta da questo insieme di processi e di mezzi di intervento culturale e sociale.

Concludo con un piccolo rimando e resoconto umano della mia partecipazione: un mettermi in gioco e offrire tempo e capacità informali che mi ha allontanato da quel senso di costrizione e di angoscia che mi ha reso più sofferente e più fragile in certi periodi pre e post pandemici e mi ha riconciliato con il tema del dono che imprevedibilmente ha causata effetti che a mia insaputa – e non senza difficoltà hanno rielaborato doni e radicalizzato legami, resi però più liberi e meno com-patiti. Bensì ne consolida certe consapevolezze e apre a prospettive.

Una piccola testimonianza che recupera e relativizza anche quest’attenzione alle proprie necessità e desideri non materiali, ma spesso indispensabili per essere compresi, curati in sé e in relazione con una collettività partecipe verso cui mi sento grato.

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Foto: spacciocultura.it/comunita-del-dono/

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Il Piccolo Diario Di Portineria ritorna lunedì 2 gennaio

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