Incubi

di Enea Solinas Enea Solinas

Paure utili ed inutili del tempo presente

Nelle scorse cronache del dopovirus avevo raccontato dei sogni o del clima particolarmente favorevole ai sogni, favorito dal buon riposo ristoratore. Un accenno a fatti personali come auspicio per una socialità che si riavviasse e ravvivasse in modo generativo. Ovviamente senza fretta.

Oggi mi concentro su quanto gli incubi siano rivelativi e importantissimi nella vita psichica e nei loro riflessi sociali. Evocando Freud, ogni persona ha i suoi disagi, e come ogni civiltà, e gli incubi si dimostrano essere un ottimo specchio delle paure e delle criticità insite in entrambe.

Come ogni attività onirica legata all’inconscio, mostrano e rielaborano le nostre pulsioni più vere. Associati al panico sono un segno di cattiva salute e un cattivo augurio per chi li ospita e li genera. Destano bruscamente irrompono e spezzano il sonno. Asseriscono ad un invito alla cautela, ad avere più rispetto di sé, per i propri limiti e per non esorbitare oltre i limiti e le soglie che ci separano dagli altri, ci distinguono, ci differenziano, e si pongono come segni di mutuo rispetto. O per non assorbirne e introiettarne il diverso sentire, in un dispercezione e disconoscimento che può sfociare in sindromi di tipo dissociativo. Ho patito e attraversato questi stati non consoni e conformi di coscienza, in modo assai confuso, senza però respingere l’idea che abbiano un significato profondo che va oltre il malessere avvertito durante i periodi più critici. Sto considerando questo periodo come una convalescenza, avendo ripreso diverse contromisure terapeutiche.

La salute mentale è entrata di sbieco anche con una diversa considerazione sociale durante questo ormai non breve periodo pandemico. 

In questa fase storica si susseguono input di diverso tipo, spesso veicolati dalla tecnologia alla quale siamo sempre più legati, nel bene o nel male. Sognare e avere cura del buon riposo è un indice di saggezza, così come è il considerare gli incubi sogni divergenti, che talvolta sono semplicemente intensi, non rovinano il sonno e il riposo ma risvegliano certe sane inquietudini che ci spingono ad un profondo cambiamento. L’atmosfera collettiva è pervasa di incertezze e il fenomeno pandemico è oggetto di continue speculazioni. Allo stresso tempo mette in luce la complessità e desta attenzione verso i tanti fattori implicati: sociale, ambientale, culturale, politico.

Questo confrontarsi con la realtà fa riemergere emozioni o pensieri sopiti e muta molte delle prospettive in gioco.

Questa rubrica è un azzardo sul tempo presente, una sfida a convivere col virus, e un invito alla riflessione, ma anche un gioco che s’incoraggia di ciò che non si perde di quel che esisteva prima della pandemia, e di ciò che esiste e resiste alle derive più autoritarie e violente. Come ne Le cronache del dopobomba, di Philip K. Dick immagina di rivolgersi a dei destinatari che si sentano parte di una comunità di sopravvissuti di questi mali (egotismo, prevaricazioni, illusioni di benessere o condizionamenti al malessere).

È un periodo che faccio i conti con le mie paure. Sia da sveglio, nel turbinare dei pensieri enfatizzato dall’isolamento, sia in alcune notti poco serene, agitate da un saturarsi di tensioni nella mente e nel corpo. La voglia di ritrovarsi stare insieme ad altri, e di lasciarsi andare viene a confliggere con una bulimia di ricordi e di desideri, e una curiosità culturale che patisce cause di forza maggiore contrastanti, stenta a porre un ordine al caos, accetta limiti, ma al tempo stesso accetta il caos, quale precondizione, vuoto ricreativo. Bisogno di solitudine e timore di restare isolato, di essere dimenticato o di dimenticarsi. Una tensione nello stare costantemente in ascolto di sé che non allenta ma aumenta talvolta la tensione e esacerba l’emotività.

In tali condizioni, credo che gli incubi siano più importanti dei sogni quando sono sogni intensi, carichi di elementi perturbanti, i quali però non arrivano a destabilizzare il buon riposo e un procedere, lento e costante, solidale e anche compassionevole, là dove a causa di una latente mal di vivere si diventa più sensibili e ospiti del sentire circostante altrui. È una dimensione fragile dell’esistere, però foriera di opportunità.

Alcuni incubi o sogni intensi liberano energie in eccesso, e aprono e sbloccano la via a paure sopite, alcune delle quali – e a livello soggettivo – sono utili, nel momento in cui si manifestano.

In questo periodo le mie paure inutili sono le fissazioni e le ossessioni, specie in riferimento a traguardi e obiettivi che non corrispondono ai reali bisogni e desideri. Un motto latino mi accompagna: per aspera ad astra, attraverso le difficoltà si raggiungono le stelle. Dalle quelli ci si distacca de-siderando, ritornando a stabilirsi e riprendendo un legame con il mondo. Provo molta empatia per le paure legate al presente e all’incertezze sul futuro, ai problemi di natura globale e sociale. Ma cerco di non sentirmene sovraccarico, solo a causa dello stato d’animo, visto che vivo in condizioni fortunate.

Sinceramente, un eccesso di tensione e un’ossessione troppo vigorosa nell’esercizio di superamento mi fa più paura, riecheggia sconfinamenti e spaventi già vissuti. Mi trasforma in attore coatto dell’abitudine al disinteresse, alla tracotanza.

Trovo utili quelle paure che rivelano la richiesta di un incoraggiamento e non di un conforto o consolazione. Trovo utili quelle paure che fanno affidamento alla propria memoria quale capacità di selezionare, ricordare, obliare e modificare le impressioni istantanee colte in fuggevoli situazioni. Sono foriere di disillusioni che non eliminano il desiderio, di un’attitudine a sognare realisticamente, ad ammettere cosa si prova, a provare ad essere autentici, a rispettare i propri limiti, prima di andare alla disperata ricerca di un confine preesistente, forzato.

Da buon bradipo mi fa paura la fretta, ma altrettanto mi inquieta il troppo indugiare.

Trovo personalmente una paura inutile la ricerca ostinata di una sicurezza sociale personale, mentre considero una paura utile la perdita di sensibilità e l’aumento dell’indifferenza. Di queste paure sorgono domande che mi interrogano, e cercano di trovare coraggio, o ammettere i propri limiti. Cercano una risposta che si opponga alla paura. Ricercano quel coraggio che andando ad aprire la porta alla quale bussa forte la paura, non trova nessuno. Perché la paura si dilegua, e non si resta indifferenti. E ci si prende meno sul serio, sgonfiando quell’importanza così limitante che si dà a sé quando non si accoglie il prossimo. Entro i limiti dell’umana tolleranza.

Andare avanti nonostante le difficoltà, o per contro farsi forza a partire da queste. Meditare come esercizio pronoico, che depotenzia la presunzione di trovare da sé delle soluzioni definitive.

Considero paure utili i timori di pervertire le sorti accadute, capitateci: quel diventare aggressivi dopo essersi sentiti aggrediti, corruttori dopo essersi sentiti corrotti, alterati, guastati. Trovo utili le paure che smuovono e sollevano da attaccamenti viscerali che ostacolano un reale cambiamento.

Mi fanno paura i silenzi omertosi, la mancanza di schiettezza, o le complicità con chi ha una posizione di dominio e ne abusa. La schiettezza è una pratica che andrebbe rivolta sempre innanzitutto verso di sé, anche nell’ammissione del proprio essersi ingannati, sopravvalutati, o sottovalutati, e rimanere prigionieri di un’illusione che si autoalimenta.

È una pratica difficile perché implica inestricabilmente capacità di giudizio, e altrettanta attitudine a sospenderlo e a fare il più attenzione possibile, avendo cura dell’esistente e del vivente.

Temo le dimenticanze, il negare di sincere riconoscenze sull’onda di emozioni momentanee.

Temo la mancanza di coraggio nell’affrontare il proprio abisso, e credo che per quanto travolgente e tremendo sia necessario osservarlo e averne cura.

Trovo paure inutili l’esacerbarsi e la recrudescenza del rancore o dei risentimenti – ma ritengo utile la rammemorazione là dove ci sprona al cambiamento di sé, perdonando e distaccandosi da certi legami che risuonano di questa parte mefitica della coscienza, inestricabilmente umana, primitiva, legata a un sentire che potrebbe ricondursi a qualcosa di ancestrale, come un dono prezioso ma intriso di un po’ di veleno. Accade e si è indotti a transitori momenti regressivi, nei quali a prevalere è l’angoscia. Ma questa fa emergere la necessità e ci ricorda dell’essere vivi e dell’importanza della  presenza a sé stessi. Così come distingue dalla non ininfluenza di fatti che accadono nel mondo, nelle situazioni che attraversiamo, e che formano il nostro modo di pensare, scegliere, decidere o soffermarsi.

Ci sono aspetti di noi stessi che non possiamo cambiare, o che certamente non cambieremmo senza l’intervento altrui. Che talvolta si configura in nient’altro che in uno sguardo altro, diverso da quello che rivolgiamo e ripieghiamo su noi stessi. Poi molto dipende dalla nostra volontà, che è sospinta dal desiderio.

Concludo consigliando di recuperare la visione di un anomalo film natalizio, che di festoso ha a dir la verità poco, ma che senza porre tesi, senza spiegazioni e forzature mostra una situazione estrema rivelatrice di molte paure utili e d inutili. Buon natale, Mr. Lawrence, è conosciuto in Italia col titolo di Furyo. Capolavoro dell’inizio degli anni ottanta, il film di Nagisa Oshima è ambientato in una campo di prigionia bellico. Le dinamiche tra i personaggi decostruiscono dall’interno la stessa situazione oppressa da cause di forza maggiore e carica di una violenza strutturata a più livelli, ne mostrano i lati violenti così come il potere prorompente della memoria, della relazione intima confidenziale, e dell’erotismo, inteso anche quale rottura, crisi e gesto sacrificale. Un film che ci aiuta a confrontarci con le proprie paure e a relativizzare il proprio punto di vista, anche in riferimento a situazioni meno estreme. A suo modo è un film che rielabora il pathos come sanno fare meglio certi incubi o sogni intensi che non il sognare lieto e pacificato o tantomeno i sogni di plastica non autentici, preconfezionati e spacciati da una cultura omologata e appiattita, interessata più alla brama di potere e dominio, che non alla solidarietà e alla volontà di comprensione e approfondimento. Questa, anche se non sempre necessariamente, implica delle asperità da affrontare, sia un una solitudine non patita, che nel confronto propositivo con gli altri.


Cronache Del Dopo Virus ritorna mercoledì 12 gennaio 


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