Il Potere Dei Più Buoni

di Antonino Di Bella

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Il 1º gennaio del 2003 ci lasciava Giorgio Gaber, l’uomo – insieme a Sandro Luporini – del teatro canzone

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Quest’anno ricorrono i vent’anni dalla morte di Giorgio Gaber e non si contano più le manifestazioni, i tributi, le celebrazioni per ricordarlo. Sono però sicuro che non tutti questi avvenimenti gli avrebbero fatto piacere visto che nonostante la sua popolarità aveva critici sempre pronti a decifrare e a interpretare le sue canzoni. Anche qui Riviera non è passata inosservata la data del gennaio 2003 e infatti un mese dopo gli amici dell’associazione chiavarese (della quale vi ho già parlato) Il Bandolo hanno omaggiato Gaber con un appuntamento a cui era presente il presidente della Fondazione Giorgio Gaber, mentre l’amico Fabio Barbero, già autore tra l’altro di gialli ambientati nell’epoca medievale, ha dato alle stampe il primo di un trittico dedicato alla vita dell’artista milanese dal titolo esemplificativo: “Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68” dove vengono analizzati i primi passi in teatro di quello che verrà considerato, nonché imitato, “l’uomo del teatrocanzone”.

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Oltre ad altri suoi amici, come Enzo Jannacci, il suo compagno professionale per una vita è stato infatti Sandro Luporini, insieme hanno scritto monologhi e brani che rimarranno veramente nel “pensiero” di tanti di noi. Di Gaber è stato detto molto e questo mio articolo non vuol sommarsi ad autori ben più autorevoli, sempre che io nel mio piccolo mi possa definire autorevole, bensì analizzare da provinciale alcuni aspetti meno considerati dai media mainstream. Questo perché mentre certi brani, sia cantati che recitati, sono portati a simbolo del progressismo e contro una certa mentalità, che chiamerei conservatrice, meno considerata invece è stata la canzone “Il potere dei più buoni” inserita nell’album “Un’Idiozia Conquistata a Fatica” dove con la classica visione sarcastica ma molto realista vengono portati al pettine nodi che difficilmente fanno piacere ad una certa classe di intellettuali e a chi vedeva in Giorgio un simbolo contro il decadimento dell’era post sessantottina e militante.

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Invece Gaber che cantava i mali e i controsensi della società e di una certa cultura italiana non ha avuto paura ad esporsi ponendo, attraverso il suo modo dissacratorio, un quesito che ancora oggi è presente: ma davvero tutti coloro che arrivano in questo disgraziato paese hanno maggiori diritti di chi invece da sempre ci abita e con enormi sacrifici cerca di costruire qualcosa per sé e per la propria famiglia? Domanda molto difficile ma pur sempre attuale. Ma Gaber ci aveva abituato ad essere controcorrente come quando cantando “La chiesa si rinnova” nel 1971 si poneva contro un certo perbenismo curiale.

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Oppure quando, sempre nello stesso anno, nella canzone “I borghesi” metteva in luce una visione classista che sarebbe diventata realistica pochi anni dopo e che col brano “I reduci” criticherà non risparmiando critiche a coloro che aveva fatto le battaglie culturali degli anni definiti “di piombo”. Concludo citando quello che è stato forse il brano più controverso visti i temi politici toccati e cioè “Io se fossi dio”. Gaber ci ha abituato ad una lucida ironia non avendo paura di passare dall’altra parte della barricata ma rimanendo fedele al suo modo anzi direi al suo stile che mai lasciò neppure nel suo ultimo album registrato in studio prima della sua dipartita, ciao Giorgio ci mancherà la tua ironia! E dal Tigullio è tutto… e come diceva Maurizio Costanzo “il resto è vita”! Ad maiora!
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Foto: Enrica Scalfari/Agf

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Gente Di Riviera ritorna a settembre

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