Circolo

di Enea Solinas

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Dopo alcuni mesi di prova, si apre e si avvia ufficialmente la cultura della prossimità

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Partecipo da un anno alla attività dello Spaccio di Cultura. Come accennato nello scorso episodio di questo diario, è un iniziativa sociale che adibisce e predispone di luoghi con caratteristiche particolari. Luoghi d’inciampo, una sintesi tra l’agorà dove avvengono dialoghi e scambi arbitrari e la soglia come concetto di limite aperto, non un confine, che favorisce le relazioni.

L’ultima nata tra le Portineria di Comunità così definite è situata presso una ex bocciofila al parco Braccini, quartiere borgo san Paolo di Torino.

La prima nacque più di 2 anni fa nella piazza del mercato per eccellenza di Torino Porta Palazzo; la seconda in un giardino pubblico un po’ nascosto su lungo Dora Savona.

Ogni zona ha una storia e delle caratteristiche urbane, culturali e sociali in sé.

La ex bocciofila nel suo essere co-abitata e riqualificata prende la dimensione di circolo compartecipato. Quasi un trait d’union con la storia di un quartiere operaio e una zona della città attraversata da cambiamenti, innovazioni, reinvestimenti, ma solida nella sua identità di fondo, che oggi avverte ed esprime bisogni relazionali, beni comuni immateriali a contrasto della frammentazione pandemica e dell’isolamento.

Attività per famiglie e neogenitori si alterno e intrecciano a momenti di relax e di gioco, compagnia per adulti. Attività ricreative culturali (cinema, teatro, aula studio) a momenti di cura del luogo e trasmissioni di tecniche artigianali di riparazione, riutilizzo e non spreco degli oggetti e degli spazi comuni, come il giardino e le aree verdi. Spazi relazionali per il racconto e la raccolta di esperienze, testimonianze e riflessioni ne proseguono idealmente un certo modo di ri-costituire una sapienza informale, spontanea.

Anche una rielaborazione propriamente storiografica che predispone accanto ad una serie di residenze artistiche come progetto comune con le associazioni del quartiere, un accoglimento di anime e ideologie che sono state spesso su fronti contrapposti, ma che trovano un nesso in un’attenzione al sociale.

Mi riferisco proprio alla cultura operaia di stampo marxista che, insieme al fervore politico ed intellettuale, ha vissuto drammi e lacerazioni endogene ed esogene, e un certa cultura legata all’ambito cattolico-sociale, o comunque radicata nell’attenzione solidale propria di una concezione anche teologica del cristianesimo.

Inutile prescindere dalla presenza di un’associazione (oggi fondazione culturale) qual è il Gruppo Abele – che trae ispirazione comunque dal lavoro su strada (nelle piazze, nelle comunità) e dall’impronta del concilio vaticano secondo.

Ma a parte queste riflessioni che rievocano senza nostalgia epoche e trascorsi del nostro ‘900, c’è un altro aspetto che mi colpisce e apre a possibili prospettive. Il costruire e sviluppare comunità consapevoli avviene anche grazie all’idea del circolo, qualcosa che ha concretezza e idealità al tempo stesso. Pone idealmente tutti alla medesima distanza dal centro, che appartiene a chiunque e non crea polarizzazioni. Ma anche è un movimento: un flusso, un circolare che col-labora con la prossimità, utilizzando gli strumenti di coinvolgimento e comunicazione a distanza per quanto è necessario. Riformulando e ribadendo la necessità dell’empatia come presenza e ascolto, intendimento delle differenze e non loro omologazione.

L’idea classica e innovativa di circolo, dovrebbe tenere presente entrambi gli aspetti: quello di luogo di ritrovo e di consuetudine a frequentarsi e ad essere abitato; e quello della dimensione aperta e circolante che intreccia e amalgama altresì storie e idee presenti nel quartiere e in città.

Un’idea non così originale, ma che trova un suo perché ben avvertibile nei bisogni e nelle proposte che emergono direttamente dai partecipanti.

L’idea delle Portinerie di Comunità s’inserisce in un più ampio concetto di presidi culturali e tale modello – duttile, ma non sbrindellato – sta incuriosendo e trovando consenso in diverse altre città della penisola. Stipulando progressivamente collaborazioni trasversali e patti con gli enti e le amministrazioni pubbliche, questo modello diffonde un certo modo di interpretare la cultura non come sapere esclusivo di appartenenza di pochi eletti dotti, ma come qualcosa che sta tra le persone e alimenta processi che si attivano con le persone e grazie a loro. 

Molti operatori e organizzazioni del mondo sociale (laico e in senso generale) si sono trovate spesso costipate nelle contraddizioni e nei limiti (confinanti) delle strutture e dei protocolli – con tutto il corrispettivo burocratico.

La scommessa è che questo virus superi ostacoli – veri o presunti – e che in periodo di abitudine all’immunità massificata ci faccia sentire più prossimi e sensibili proprio nella relazione di comunità. Come antidoto all’individualismo oltre che all’isolamento personale.

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Foto: Enea Solinas

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Il Piccolo Diario Di Portineria ritorna lunedì 5 novembre

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2 Comments

  1. Maura Reply

    Non abito più a Torino da qualche anno, anche se ci lavoro. Benchè non abbia ancora partecipato alle attività di ‘portineria’ credo che sia necessario promuovere momenti di ‘condivisione’. Così come scrive Enea nell’articolo, l’esperienza della pandemia ci ha lasciato spaesati come sopravvisuti ad un naufragio, ancora scossi e vaganti. L’ essere umano necessita di cibo per alimentare il fisico, di cultura per alimentare la mente e di condivisione per alimentare il cuore , la sua parte “emotiva’ che è quella che ci rende umani.

  2. Enea Solinas Reply

    Il tentativo della rete di portinerie è di sviluppare questo genere di aggregazione e di nutrimenti.
    È una scommessa e sono consapevole dell’esistenza di realtà analoghe, ma nel suo piccolo è un modello innovativo che eredita – soprattutto a borgo San Paolo – una situazione ben connotata e aperta a novità.
    Ringrazio Maura per il suo commento e le sue parole.

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