Cinque Piccolissime Cose

di Joshua Evangelista

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Cinque piccolissime cose che ci portiamo a casa dai Mondiali del Qatar

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Se ci chiamiamo bradipi c’è un motivo. A fine mondiale Giuseppe Rissone, l’animatore di questo sito, mi scrive chiedendomi un pezzo sulla rassegna qatariota. “Con calma”, mi dice, “basta che sia entro il 27 dicembre”. E io, da buon bradipo, lo prendo alla lettera. Ecco l’articoletto spedito il 27, entro la scadenza fissata dal severissimo (si scherza…) coordinatore. Del resto lentezza vuol dire anche aspettare che gli argomenti diventino obsoleti prima di poterne parlare. Ma bando alle ciance, eccoci qui con cinque piccoli pensieri che ho tenuto a mente a dieci giorni circa dalla fine dei mondiali. Se sono pensieri sensati o il chiaro risultato di troppa lasagna natalizia lo deciderete voi.
 
    1. Francia-Argentina è (finora) la partita del secolo. Come Italia-Germania 4-3 del 1970. Oggettivamente una partita così bella non si vedeva da tanti anni. Ci sono tutti gli elementi che ci hanno fatto innamorare del pallone da bambini: i colpi di genio, le rimonte, gli eroi e gli antieroi, il fiato sospeso, l’adrenalina, le lacrime.
    2. Forza Marocco, ma… (1) Quando il Marocco ha battuto la Spagna agli ottavi di finale mi trovavo a Lione, in periferia. Decine di marocchini, tunisini, algerini, arabi mediorientali e africani subsahariani di prima, seconda, terza e forse quarta generazione erano ammucchiati nei bar a vedere gli ultimi minuti della partita, con il Marocco che conduceva 1-0. Sono entrato in un supermercato, ho comprato qualche formaggio e un paio di vini (a proposito di luoghi comuni) e sono uscito che la partita era appena terminata. Ecco, vedere che Lione si era trasformata in Rabat o Marrakesh è stato bello. Il calcio è epica e anche esserne spettatori, quando è impossibile farne parte, è bello. Forse il percorso del Marocco fino alle semifinali non è stato una rivincita sul colonialismo come molti hanno scritto, ma poco ci è mancato. E poi gli abbracci alle mamme da parte dei calciatori a fine partita sotto sotto ha commosso tutti.
    3. Forza Marocco, ma… (2) Il calcio è fiaba e ce lo teniamo così. Bianco o nero, vincitori e vinti, gol o parata. La realtà invece è più prosaica. Ad oggi il Marocco è uno stato coloniale, sarebbe interessante capire quanti nel Sahara Occidentale tifassero per i Leoni dell’Atlante e quanti no. Repressione, spionaggio, ingerenza verso i media: il Marocco di Re Mohammed VI è anche questo. Del resto mentre noi tifavamo Marocco, a Bruxelles emergeva il caos del Qatargate e dei funzionari corrotti, al cui interno c’è anche un Maroccogate. E l’inchiesta è solo all’inizio.
    4. Il Qatar è lo specchio della nostra ipocrisia. Ci svegliamo a una settimana dal mondiale dicendo che ci fa schifo, che lo boicottiamo (facile per noi senza gli Azzurri), poi non lo boicottiamo ma imprechiamo e infine ci scandalizziamo quando – durante le celebrazioni per la vittoria dell’Argentina – lo sceicco Al Thani, di fatto il datore di lavoro di Messi al PSG, “griffa” il calciatore più grande degli ultimi 30 anni con l’abito nero tradizionale. Di fatto marchia il brand Messi, la Coppa del Mondo, tutto il calcio. Ammettiamolo, è una scena raccapricciante. Ma è semplicemente la rappresentazione plastica di quello che il calcio è da un po’ di tempo a questa parte. Quindi combattiamolo, certo. Denunciamo gli scandali. Boicottiamolo se riteniamo di farlo. Ma non caschiamo dal pero. Lo scrittore De Giovanni sul Messaggero ha scritto che Maradona non avrebbe mai accettato tale vestizione. E in effetti, per quello strano fenomeno per il quale i morti all’improvviso diventano santi, Maradona viene oggi raccontato come un grande emarginato anti-sistema. Stiamo parlando dello stesso Maradona che ha allenato in Arabia Saudita e Dubai e che in cambio di una lauta ricompensa ha giocato a calcio con Kadyrov, il macellaio ceceno che ora fa scempi anche in Ucraina? Facciamo così: godiamoci i nostri eroi calcistici, non trasformiamoli in dei e accettiamone le contraddizioni. 
    5. Ma quindi, cosa ci portiamo a casa? Tutta la nazionale marocchina comprese le mamme, la tigna di Amrabat, l’eleganza malinconica di Modric (il più grande centrocampista dai tempi di Pirlo, secondo me), i dubbi amletici su chi tifare dei marocchini nati e cresciuti in Francia, il Senegal (che ogni anno sembra la volta buona, ma poi no), il Mbappè calciatore svuotato del terribile Mbappè personaggio, il Rabiot qatarino che non c’entra niente con quello juventino, il portiere Martinez tranne quando esulta contro gli avversari, il portiere titolare dell’Olanda Andries Noppert che fino a tre anni fa faceva la riserva al Foggia (dove gli rubarono l’auto, che gli fu riconsegnata grazie all’intervento della mafia locale), il rosso MacAllister, i tiri del giovanissimo Enzo Fernandez, la poesia tratteggiata dai piedi fatati di Di Maria, i giovanissimi spagnoli che in futuro faranno cose grandissime (non disperate), Goncalo Ramos che fa una tripletta a 21 anni in un ottavo di finale ma verrà ricordato solo come quello che ha costretto Cristiano Ronaldo alla panchina, Lionel Scaloni allenatore vincente per caso. I miei comprimari preferiti:  Ecuador, Iran (qui ci sarebbe da scrivere un articolo a parte, ma limitiamoci a dire: forza iraniani! forza iraniane!), Giappone, Corea, Stati Uniti (occhio che secondo me stanno crescendo – anche se lo diciamo sempre da Usa ’94, questa volta forse ci siamo. E nel 2026 giocheranno in casa). Poi MESSI tutto in maiuscolo. La competenza serie a mitteleuropea di Stefano Bizzotto (il mio telecronista preferito). E anche le esageratissime analisi urlate di Lele Adani, che possono essere talebane a volte eppure ci piacciono. Viva el fùtbol. 
Bonus: cosa si porta a casa Giuseppe Rissone? In realtà questo articolo nasce da una richiesta specifica del nostro affezionatissimo, probabilmente il più grande esperto al mondo dell’Entella, il gioiellino calcistico di Chiavari oggi in C. A Chiavari nella stagione 2015-16 giocava un ragazzotto nato a Metkovic di 192 centimetri. Parliamoci chiaro: con i piedi non è che fosse un fenomeno. A fine anno, prima di andare a Trapani, il suo score recitava: un gol in 13 presenze. Una meteora che dopo varie stagioni non brillantissime in Italia nel 2018 era tornato in Croazia, alla Dinamo Zagabria, dove invece si era dimostrato un discreto lottatore nell’area di rigore: 40 gol in 119 presenze, segnati principalmente grazie a sportellate e colpi di testa. Ebbene, questo operaio dell’area di rigore, di nome Bruno e di cognome Petkovic, durante i quarti di finale contro il Brasile della sua Croazia mette a segno, al 117′ dei supplementari, la rete che fissa il punteggio sull’1-1 e che costringe quindi Neymar e compagni ai calci di rigori. Il resto lo sapete: vince la Croazia che alla fine si prende il bronzo, terza medaglia della sua giovanissima carriera. Un eroe-operaio che ha emozionato il nostro Giuseppe e che è stato il vero motore di tutto questo articolo. Forza Entella, forza Petkovic, forza ai non-Mbappè che ogni tanto, a sorpresa, si prendono i titoli dei giornali.
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Foto: pixabay.com
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Bradipo Reporter ritorna giovedì 5 gennaio
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One Comment

  1. umberto scopa Reply

    a mio parere ricorderemo questo mondiale anche per la novità della dilatazione temporale straordinaria delle partite. La cosa condurrà inevitabilmente presto al tempo effettivo già adottato da altri sport. Del resto con l’arbitraggio “scientifico” del VAR, altra novità, mal si concilia una durata della partita decisa “un tanto al metro”, o come si dice dalle mie parti “a manazza”. Purtroppo ricorderemo anche che il Var di questi mondiali, forse perché ancora acerbo data la sua giovane età, non ha eliminato le contestazioni nella misura sperata, ma le ha spostate dall’errore in buona fede, all’errore in malafede, giacché se si accusa qualcuno di aver sbagliato giudizio dopo aver guardato dieci volte le immagini il suo errore sarà ritenuto imperdonabile, mentre forse eravamo disposti a perdonare, o attribuire alla malasorte, l’errore dell’arbitro che decide impulsivamente sul campo, senza tempo di ripensarci, e in base ai limiti della sua visuale. Questi sono i miei pensieri che mi permetto di mettere in appendice a questo articolo già ricco di interessanti riflessioni.

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