di Gianfranco Gonella soloalsecondogrado
——C’è un paese al mondo
Dove crepi e ci bevi su/E nessuno piange, anche il prete non finge più/Basta che il raccolto sia biondo più che si può:/Nel granaio pieno c’è la vita e altrove no
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In questi giorni, cari amici bradipolettori, passando quasi inosservata, dai giornali e da qualche piccolo rimando sui vari TG, abbiamo appreso che il 25 maggio scorso Enrico Berlinguer avrebbe compiuto 100 anni.
Ed io, a pensarci bene, mi chiedo: ma quanti sanno, oggi, chi è stato Enrico Berlinguer?
Per la sua biografia vi rimando alle pagine di Wikipedia, io invece voglio soffermarmi sulla sua figura e su che cosa abbia rappresentato. È stato il segretario del più grande partito comunista d’occidente, amato dai compagni, rispettato dalle forze politiche avversarie, apprezzato interlocutore delle varie componenti sociali.
Non parlava mai per slogan, ma il suo ragionamento politico anche da chi non lo condivideva, era sempre fonte di discussione, confronto, dialogo, il tutto senza mai alzare i toni o arrivando all’insulto per l’avversario. Ma era nei comizi che prendeva forza il suo pensiero, e tutti lo stavano, stavamo, ad ascoltare senza contestare, anzi. Ma perché vi sto scrivendo di Berlinguer?
Forse in questo fine settimana che ricorre anche l’anniversario della sua scomparsa qualche parola in più i media le consumeranno e, spero, saranno sicuramente più celebrative che non le mie. Io invece ho voluto iniziare questo mio articolo parlando di lui perché lui è stato un vero comunista, sempre coerente con questa filosofia di vita.
Non ebbe esitazioni nel contestare la linea del partito che aveva “deposto per motivi di salute” il presidente Chruscev, giudicato troppo morbido nella gestione della crisi di Cuba per sostituirlo con Breznev.
Ebbe modo di contestare la linea del PCUS intervenendo dopo che i relatori di ben 35 partiti avessero appoggiato le posizioni sovietiche, tenendo quello che sarebbe stato ricordato come «il più duro discorso mai pronunziato a Mosca da un dirigente straniero». Tra l’altro, Enrico disse: «Noi respingiamo il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni. In verità le stesse leggi generali di sviluppo della società non esistono mai allo stato puro, ma sempre e solo in realtà particolari, storicamente determinate e irripetibili. Contrapporre questi due aspetti è schematico e scolastico e significa negare la sostanza stessa del marxismo».
E come non ricordare del viaggio in Bulgaria quando, mentre viaggiava verso l’aeroporto l’auto sulla quale viaggiava, scortata da una macchina della polizia e seguita da un’altra vettura con a bordo altri dirigenti del PCI fu investita da un camion militare ferendolo gravemente insieme a due dirigenti del partito comunista bulgaro e provocando la morte dell’interprete.
Pura fatalità? Con l’enorme organizzazione del partito è difficile crederlo. Quante analogie con l’oggi. Vi elenco qualche nome.
-Sergei Yushenkov
-Alexander Litvinenko
-Stanislav Markelov
-Natalia Estemirova
-Sergei Magnitsky
-Boris Berezovsky
-Boris Nemtsov
Sapete chi sono? Sono attivisti per i diritti umani e oppositori di Putin che sono stati uccisi, ai quali vanno aggiunti più di 30 giornalisti e una stima di 25-50 mila morti e oltre 5000 sparizioni forzate in quella che è stata definita la seconda guerra in Cecenia dal 1999 al 2009.
Per dovere di cronaca va detto che Putin non è un dittatore, nel senso che non ha preso il potere con la violenza, ma che è stato democraticamente eletto dal suo popolo. È nel tempo che si è trasformato in un autocrate, in uno cioè che ha accentrato tutti i poteri nelle sue mani, pilotando il parlamento a legiferare a suo favore tutto e di tutto.
Grazie anche ad un silenzio/assenso da parte del resto del mondo che, mettendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, si è fidato dell’antico proverbio “Can che abbaia, non morde” e poi, finché tocca casa sua, chissenefrega.
Oggi ci siamo accorti che sta toccando tutti noi, che gode di appoggi da tutti quei sovranisti/populisti legati fra loro da una deriva fascista. Eppure ci sono, da noi in Italia, in una Repubblica nata dalla resistenza, ancora quelli che cercano di giustificarlo, anzi lo idolatrano.
E molti sono quelli che si fregiano ancora di essere “comunisti”, dimenticando o non sapendo affatto cosa voglia dire essere comunista.
Ed è a loro che mi rivolgo, vadano a leggere un po’ la storia del comunismo, vadano a leggere le biografie di Gramsci, Togliatti e non per ultimo Berlinguer per capire che cosa si intende per socialismo reale, comunismo, prima di fregiarsi di tale aggettivo che, a loro, non appartiene, anzi.
Li invito, e lo faccio anche con voi, a sentire la bella intervista che Massimo Giannini, direttore della Stampa di Torino fa a Pif al salone del libro appena concluso. Ascoltino bene le parole che Pif pronuncia e, se riescono, si diano delle risposte. Quelle che io non sono in grado di dare.
Il titolo di questo articolo è anch’esso una provocazione, C’è un paese al mondo, brano dei Maxophone, gruppo milanese che ebbe l’idea di fondere la musica pop con la musica classica tipica del prog italiano ed europeo nel 1975, quindi fuori tempo massimo, nel senso che ormai la strada era stata aperta da anni.
Ma, a differenza di tanti altri gruppi, loro escono con un album che verrà definito dalla critica “magnifico” in cui le diverse anime musicali dei vari componenti, chi più rock e chi più classico, convivono perfettamente dando luogo ad una musica difficilmente etichettabile.
Il disco verrà pubblicato nella doppia versione italiana e inglese per permettere la distribuzione in Europa, Stati Uniti e Canada. Anche in questo caso le critiche e le recensioni sono piuttosto positive.
Dopo un importante passaggio televisivo, con un concerto registrato negli studi RAI di Torino, e dopo la pubblicazione nel 1977 di un nuovo singolo, nel 1978 il gruppo si scioglie.
Nel 2005 vengono ripubblicate alcune versioni alternative dell’album insieme ad alcuni inediti e nel 2008 ci sarà un tentativo di riformare il gruppo da parte dei due membri storici della band, Sergio Lattuada, il tastierista e Alberto Ravasini, il bassista cantante. Nel 2018, con la scomparsa di Lattuada si sciolgono definitivamente.
Vi lascio all’ascolto del brano da cui il titolo, nella versione live del concerto registrato in RAI citandovi le prime parole del testo:
C’è un paese al mondo
Dove crepi e ci bevi su
E nessuno piange, anche il prete non finge più
Basta che il raccolto sia biondo più che si può:
Nel granaio pieno c’è la vita e altrove no
Il Mito Ostinato ritorna lunedì 4 luglio
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