Vecchi E Nuovi Standard

di Andrea Sbaffi

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Herbie Hancock Sextet, Umbria Jazz (Giardini del Frontone, Perugia, 12/07/1997)

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Nel Jazz è consuetudine definire standard un brano entrato nel patrimonio condiviso dalla comunità di musicisti: sono standards quelle composizioni che entrano nel repertorio dei musicisti jazz, dopo essere state incise più volte ed essere divenute parte stabile delle scalette dei concerti. Sono patrimonio comune, in quanto perfettamente conosciuti ed eseguiti senza esitazioni anche durante le jam sessions, caratteristiche dei Jazz Clubs di tutto il mondo: serate in cui, a una band di accompagnamento, si aggiungono alternandosi liberamente sul palco molti musicisti presenti, costituendo allo stesso tempo un’opportunità per gli emergenti e un’occasione di condivisione e divertimento per i musicisti più affermati. Gli standards sono brani tradizionali o composizioni originali degli artisti che, nel tempo, hanno fatto la storia di questo genere e sono raccolti nel cosiddetto Real Book: nato per iniziativa di un gruppo di studenti del Berklee College of Music di Boston nel 1975 come manoscritto utile a “codificare” in modo univoco, per ogni composizione, il tema e il giro di accordi da utilizzare per accompagnare gli assoli, era inizialmente un manoscritto “pirata” che girava fra gli studenti e in breve tempo, grazie a un fitto giro di fotocopie illegali (senza alcun diritto d’autore…) trovò larghissima diffusione nei Jazz Club. Da allora, è diventato il riferimento principe per i jazzisti di tutto il mondo, tanto che nel 2004 l’editore Hal Leonard si impegnò ad acquisire la maggior parte dei diritti e iniziò a pubblicarlo ufficialmente: ad oggi, si contano numerose edizioni, continuamente aggiornate, ed è possibile acquistare anche i singoli spartiti sul sito ufficiale

Per noi jazzisti in erba, negli anni ‘80, era irrinunciabile ed emozionante riuscire a fotocopiarlo ed avere a portata di mano tutti i principali standards, senza i quali non saremmo stati in grado di studiare ed interagire con gli altri musicisti: conservo ancora la prima copia, quasi illeggibile… (ma confesso di averne oggi anche comode versioni in formato PDF!).

In questo scenario, si inserisce il progetto di Herbie Hancock che, nel 1996, pubblicò un album dal titolo The New Standard, con l’intento di riarrangiare e promuovere a “standard” alcuni brani contemporanei di Rock e Rhythm and Blues, in linea con la tradizione jazzistica di costante attenzione al panorama musicale del momento. Gli autori e gli stessi brani scelti risultano, a tratti, sorprendenti: dai Beatles (Norwegian Wood) a Peter Gabriel (Mercy Street), da Stevie Wonder (You’ve Got It Bad Girl) a Sade (Love Is Stronger Than Pride), da Simon & Garfunkel (Scarborough Fair, comunuqe già una ballad tradizionale inglese) ai Nirvana (All Apologies).

Ad accompagnare Herbie, protagonista e grande sperimentatore fin dagli anni ‘60, del quale numerose composizioni erano già contenute proprio nel Real Book originale…, cinque fra i musicisti più significativi del Jazz dei trent’anni precedenti: Michael Brecker al sax tenore e soprano, John Scofield alle chitarre, Dave Holland al contrabbasso, Jack De Johnette alla batteria e Don Alias alle percussioni. Non possiamo approfondire in questa sede i loro profili (invito a farlo autonomamente), ma è importante sapere che per noi appassionati, questo sestetto era paragonabile ai supergruppi del Rock, vista la caratura degli artisti ed avendo letteralmente consumato i numerosi dischi delle varie formazioni in cui avevano militato.

Il programma di Umbria Jazz ‘97 prevedeva ai Giardini del Frontone proprio una serata di questa fantastica formazione, allargata per l’occasione a settetto con la presenza di Bobby McFerrin, eccezionale vocalist (ma non solo…., se non lo conoscete cercate in rete), di cui avevamo amato una precedente collaborazione con Hancock una decina d’anni prima, in occasione del film ‘Round Midnight di Bertand Tavernier, con uno stratosferico Dexter Gordon nel ruolo del sassofonista Dale Turner nella Parigi degli anni ‘50 (ovviamente da vedere!!!).

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Ricordo con grande piacere che, per l’occasione, il gruppo si era allargato notevolmente e, oltre al solito Manuel – mio fratello – con cui ho condiviso tutte le esperienze perugine anche negli anni successivi, c’erano tante amiche e tanti amici, per la maggior parte compagne/i di viaggio nei gruppi musicali del momento o degli anni precedenti: Daniele (vocalist del primo gruppo bolognese), Simona e Matteo (voce e basso di tanti concerti bolognesi), Gianni (contrabbassista irrinunciabile delle mie esperienze jazzistiche fiorentine) e sua moglie Stefania, Caterina (bravissima cantante fiorentina), oltre ad altri amici provenienti da mezza Italia.

Davvero giorni di festa, oltre che di Festival.., il cui rituale iniziava a consolidarsi: sistemazione al campeggio, bagnetto in piscina (volendo essere generosi nella definizione…, ma faceva il suo!) e poi via per la città, immergendosi nella musica onnipresente, acquistando la maglietta ufficiale e preparandosi a raggiungere il concerto serale: arrivare per la prima volta ai Giardini del Frontone, forse la miglior location mai proposta ad Umbria Jazz, è stato davvero emozionante!

Il concerto è stato all’altezza delle aspettative, affiancando ai New Standard dell’album altri Old Standard, fra cui Cantaloupe Island, composizione di Hancock di metà anni ‘60 con cui spesso concludeva i concerti (qui in una versione di una decina di anni prima) con siparietto proprio fra Michael Brecker e Bobby McFerrin, impegnati a scambiarsi gli assoli, in un divertente botta e risposta) e uno degli Standard più suonati, anche nelle formazioni in cui sono stato coinvolto in quegli anni.

Confesso tutta l’emozione di trovarsi al cospetto di questi sette mostri sacri, divorando ogni nota e ringraziando di aver avuto l’opportunità di sentirli nel momento forse migliore, in perfetto equilibrio fra la notevole esperienza maturata e la voglia ancora così grande di spendersi senza remore su un palco, dialogando fra loro e dispensando tecnica, passione ed empatia a tutti i presenti.

Per un batterista, è stato anche particolarmente significativo poter ascoltare e vedere Jack De Johnette, del quale ho sempre apprezzato la capacità di rendere armonico uno strumento ritmico come la batteria: la sua formazione pianistica e la ricerca portata avanti in tanti anni di musica, affiancati da una tecnica notevole, sono sempre stati uno stimolo e un punto di riferimento, ovviamente pressoché irraggiungibile…

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Appuntamento al prossimo articolo: Legends, Umbria Jazz 1997

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Foto: Andrea Sbaffi

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