Uscirne Indenni

di Giuseppe Rissone

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Una forte ritrosia del periodo dove siamo obbligati a festeggiare

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Questa è l’ultima piccola storia quotidiana del 2023, che cade a pochi giorni dalle festività, esse ci rendono tutti frenetici e a tratti anche nervosi, nella spasmodica ricerca e scelta dei regali e del cosa cucinare nei vari cenoni e pranzi.

Devo dire – i più attenti e fedeli sanno già come la penso – che tutto questo non mi coinvolge, anzi provo un certo fastidio, preferisco vivere queste giornate in forma “minimalista”, semplice, lontano da “festeggiamenti” in alcuni casi sforzati e privi di senso. Non amo nemmeno i festeggiamenti che mi riguardano.Quasi quasi andrei in letargo – chissà se i bradipi ci vanno? – per riemergere quando tutto è finito. 

Questo vi può far pensare che sia un’asociale, niente di tutto questo, non mi piace la socialità indotta e programmata, amo quella spontanea, non avete idea di quante persone sono diventate miei amici avendole incontrate semplicemente in autobus.

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Il mio invito per chi crede che il 25 dicembre Dio si è fatto uomo, è quello di riflettere sul vero significato di questo giorno, che non ha nulla a che vedere con quello che ci propina la pubblicità, che non è necessario mangiare sino a sfondarsi, e che i regali – se proprio si vogliono fare, mi limiterei ai bambini – non devono essere per forza costosi, devono essere fatti con il cuore e non con il portafoglio. È questo vale anche per chi non crede, perché l’essere solidali non ha per forza a che fare con una fede, e proprio i cristiani – di qualsiasi confessione essi appartengano – dovrebbero dare il buon esempio.

Ho anche qualche ritrosia verso le tante iniziative – alcune lodevolissime – di raccolta fondi per le più disparate associazioni, che “sfruttano” questo periodo dove siamo tutti più “buoni” per proseguire nelle loro attività, spesso esse sono in campo sanitario – ricerca, assistenza, cure, etc… – settore che dovrebbe essere garantito in tutto e per tutto dallo Stato, invece se non ci fossero le associazioni si fermerebbe tutto. Forse dirottare le spese per armamenti e per grandi opere – inutili –  e recuperare fondi dall’evasione fiscale avrebbe piú senso.

Purtroppo in questo paese si ha una strana idea della carità e della misericordia, che non è quello di dare un piccolo obolo a chicchessia, lavandosene le mani e credendo così di avere la coscienza a posto, ma impegnarsi in prima persona verso gli ultimi, non girarsi dall’altra parte, in poche parole la solidarietà con i guanti per non sporcarsi le mani non è solidarietà.

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Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, pensavo di farvi un piccolo riassunto su cosa mi è accaduto in questi dieci mesi da quando sono in prepensionamento, degli incontri fatti, delle attività svolte, dei progetti da realizzare. Poi mi sono detto che non era poi così importante, che era prioritario gridare il mio no al natale – non a caso scritto in minuscolo – che ci vogliono far vivere.

Cosa farò io? Non farò spese folli, mi limiterò a fare piccoli regali a poche persone, non mi siederò a tavola per ore. Il 24 parteciperò al culto con la mia comunità evangelica di appartenenza, il 25 lo seguirò in televisione, passerò la giornata con i miei figli e loro relativi compagni, e con la mia compagna di vita, cercando di incidere il meno possibile: con quello che mangiamo e consumiamo individualmente in queste giornate potremmo sfamare e curare un intero villaggio. Non farò cose eclatanti nei confronti di chi ha meno, sarebbe per me fonte di forte disagio, chi ha meno non vive solo in questi giorni.

Non intendo andar oltre, e come dice un comico “vorrei tornar bambino” non tanto per avere 50anni di meno, ma per poter riassaporare profumi, gusti, e gesti che non si vivevano in altri momenti dell’anno, sicuramente anche le festività degli anni ’70 avevano la loro componente commerciale, di spreco e di falsa bontà, ne cantava già Pierangelo Bertoli nel 1976, quanto meno la mia generazione ha evitato i babbi natali appesi ai balconi, le cuffiette a forma di corna di alce sulle teste delle commesse, le canzoncine mielose e le frasi fatte sui social, e scusate se è poco.

In un post su Facebook nella pagina di una persona che conosco ma non cito, ho letto quanto segue: Comunque io lo odio il Natale… la sua atmosfera, i suoi lumini, i mercatini, l’albero, i regali, le feste, gli auguri, il presepe, la famiglia, la spesa per le numerose cene e i relativi pranzi, il “ci vediamo prima di natale”, il “se non ci vediamo prima, allora auguri”, le candele, il panettone, e tutto il resto… persino i racconti biblici della nascita mi piacciono molto meno di altre storie bibliche… Attendo con ansia il primo gennaio.

Non ne condivido tutte le parti, non mi piace la parola “odio”, però condivido il non sentirsi a proprio agio in queste giornate spesso false, e insisto nel sottolineare la differenza tra il natale e il Natale.

A conclusione non vi auguro buon Natale e meno ancora buon natale, e vi evito i banali auguri di buon anno, ricco di buoni propositi e riti scaramantici, vi auguro di uscire indenni da queste giornate di falsi luccichii e di essere pronti dal 7 gennaio nel rimboccarvi le maniche verso l’altro e di sviluppare un pensiero critico di cui credo sia urgentemente necessario.

Foto: Giuseppe Rissone

Piccole Storie Quotidiane ritorna martedì 15 gennaio

 

One Comment

  1. Enea Solinas Reply

    Discorso già sentito ma non per questo meno attuale. Condivido ma sono ancora più fortemente disilluso. E credo che occorra ripartire ciascuno da sé.
    Con altri? Dipende… A volte sì a volte meglio soli.
    Forse è più una disperata – e per molti versi assuefatta – vitalità. Ma credo che l’orizzonte sia fosco ed è più realistico e critico la dissociazione preventiva, anche di sé… Intendendola come inquietudine e viandanza, con piccoli obiettivi transitori e concreti, senza presunzione di essere solidali “per ideale” o per consolare se stessi.

    Purtroppo culturalmente sento il vuoto pneumatico e specularmente un fortissimo horror vacui. Amen

    Good Holyday!
    👾

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