Incontro Con
Ellade Bandini

di Umberto Scopa

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Ellade Bandini, un nome collegato a molti altri della musica italiana

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Fabrizio De Andrè, Enzo Jannacci, Guccini, Paolo Conte, Edoardo Bennato, Angelo Branduardi, Mina, Albano. Iniziare un articolo spendendo questi nomi è un colpo basso, lo so. Troppo facile attirare la curiosità. E ora che ci siete dentro vi chiederete come è possibile legare tutti questi nomi tra loro in un discorso non banale. Sarebbe troppo ovvio raccontare qui che tutti questi nomi occupano un posto nella leggenda della canzone italiana. Ma sono anche figure spiccatamente diverse fra loro. Certo, non mancano tratti di affinità tra taluni di essi, ma stiamo parlando pur sempre di artisti che aspirano a distinguersi, come l’arte esige da sempre: stili, contenuti, personalità, su questo si contendono l’attenzione del pubblico. E i musicisti al loro seguito sanno di dovere cogliere questi tratti identificativi e ad essi adattare le loro esecuzioni strumentali per guadagnarsi fiducia e un posto stabile al loro seguito. Essere scelti è già una conquista memorabile come l’esperienza di vita derivante. Privilegio per pochi nel vasto mare di tanti valenti musicisti in circolazione.

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Se già è un’impresa per un musicista affiliarsi ad uno solo dei nomi che ho citato, uno ce n’è che ha avuto il privilegio addirittura di accompagnarli tutti per lunghi periodi, ovviamente in momenti diversi. Sto parlando di un batterista ferrarese, Ellade Bandini, oggi settantottenne. La sua batteria può essere vista come un filo conduttore che ha attraversato la storia della canzone italiana. Impresa di vita che richiede evidentemente, per la premessa che ho fatto, non solo capacità non comuni nell’uso dello strumento, ma anche speciali doti di duttilità e versatilità, avendo dovuto adattarsi di volta in volta agli stili di figure artistiche differenti.

In un pomeriggio di pochi giorni fa, il 13 gennaio 2024, Ellade Bandini si è intrattenuto con le persone convenute nella sede della Banda Filarmonica Ludovico Ariosto di Ferrara. L’occasione ha dato modo ai presenti di ascoltare esecuzioni dal vivo alla batteria da parte di questo ospite. Tra un brano e l’altro l’autore si è prodigato nel racconto di memorie personali della sua lunga carriera in un clima molto conviviale, diretto e a tratti confidenziale.

Strumento particolare la batteria, come ci ricorda Ellade Bandini. Fondamentale perché costituisce il tratto di unione tra tutti gli altri musicisti del gruppo, i quali a lei si devono aggrappare per non “deragliare dal convoglio”. Al tempo stesso, se tutti gli altri strumenti si spengono improvvisamente, nessuno riesce dalla sola batteria a identificare che brano si sta eseguendo. Un solo batterista però sfuggiva a questa regola – come ci ricorda a suo parere nella chiacchierata – era Ringo Star, il quale da solo poteva rendere riconoscibile il brano che doveva accompagnare.

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Come Ellade Bandini ha fatto notare da subito, sarebbe facile per chi è fuori da quel mondo immaginarsi per i componenti di gruppi famosi una vita ricolma di onori e momenti inebrianti; c’è del vero naturalmente, tuttavia occorre considerare anche altro. Percorsi del genere non sono privi di difficoltà. Spesso è molto ridotto lo spazio per le cose che si preferisce fare e tocca adattarsi a farne altre. Inoltre coloro che sono al seguito di personalità spesso molto eccentriche devono anche subire il lato “oscuro” e spesso non conosciuto, di queste figure. Ellade Bandini riporta in questa chiacchierata un’immagine di De André che le esecuzioni sul palco di questo grande artista non mostrano allo spettatore, ma che tutta la troupe evidentemente era costretta a subire nella snervante fase di preparazione. De André era terrorizzato dal pubblico – come ci racconta – ossessionato dalla paura di deluderlo: questo sfociava in una parossistica ricerca della perfezione. Un’ossessione che si riversava anche sui musicisti al seguito, costretti magari a levatacce improvvise per riprovare i pezzi in orari impossibili. De André stemperava la sua tensione per i concerti, e forse anche altre inquietudini, nel bere, questo è risaputo. E la cosa non di rado si trasmetteva anche a chi lo seguiva. Analogamente con Guccini – prosegue il racconto – le bottiglie di vino non facevano difetto, tutt’altro. I concerti di Guccini, avevano poi delle caratteristiche ripetitive immancabili. Tra la folla si distingueva sempre una presenza di fedelissimi che esigevano senza eccezioni sempre alcune canzoni divenute simbolo: “La locomotiva” e “L’avvelenata”, fra tutte, canzoni portatrici di una sfrontatezza ribelle, divenute un simbolo generazionale di tempi oggi andati. Di segno opposto erano le tournee con Branduardi. Questo autore esibiva all’estero un repertorio studiato sulla musica locale, senza insistere sui suoi pezzi storici del repertorio, come “La pulce d’acqua”, forse il più noto. Il pubblico all’estero anche se li conosceva non li chiedeva nel concerto. Sottolinea anzi un interessante opinione da lui formata in quell’esperienza: cioè che all’estero il pubblico, a differenza che in Italia, non usava chiedere ai cantanti di ascoltare per forza i pezzi famosi del repertorio dimostrando così una maggiore apertura verso le novità che l’artista poteva proporre. E poi una curiosità simpatica. Tra tanti accaniti bevitori, ricorda Bandini, Branduardi si imponeva come un formidabile … mangiatore. Magro come uno stecchino aveva questa insospettata attitudine a tavola. Di Paolo Conte ricorda invece il debutto a Parigi nel 1984. Era sconosciuto a quel tempo. Alla prima il teatro era semivuoto. Poi, sparsa la voce, alla seconda era pieno. Alla terza c’era la gente fuori che non riusciva ad entrare. E questo con il passaparola, senza bisogno dei famigerati “social”. E non diversamente – ricorda l’autore – si era diffusa in modo dilagante la fama internazionale di Bennato, da lui paragonato al fenomeno odierno di Bruce Springsteen: Bennato seppe portare ottantamila spettatori paganti a San Siro e replicò il suo successo formidabile all’estero.

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Nella sua carriera Ellade Bandini ha partecipato all’incisione di qualcosa come dodicimila brani circa. Tra questi “Nano nano” (Mork e Mindy!), Atlas Ufo Robot, e Fantozzi. Ricorda anche di avere accompagnato una cantante che – ci garantisce – essere stata di enorme talento, anche se il pubblico maschile di quegli anni la ricorda per altro. Lei è Carmen Villani, ricordata meno come cantante, e più come attrice di vari film dove la figura preminente era… una supplente. I più anziani sanno di cosa parlo. Film dei quali non ci si vantava di essere entusiasti estimatori, anche se, confronto a quello che gira sul web oggi, era materia per educande.

Al di là del gossip un discorso più profondo riguarda il funzionamento dell’universo musicale italiano di altri tempi. Fondamentale era la formazione musicale nelle sale da ballo, diffuse ovunque. La grande prova del proprio valore per un musicista – ricorda nel racconto – era riuscire a far ballare la gente. Il musicista si formava nei locali, suonando davanti al pubblico che doveva intrattenere. E le occasioni di lavorare remunerati erano più diffuse perché i locali erano ovunque. Un fenomeno oggi radicalmente ridimensionato e sostituito da canali di emersione del tutto diversi, sui quali non mi soffermo. Tuttavia è risultato di tutta evidenza anche ai presenti, tra i quali erano presenti molti musicisti, che oggi assistiamo a carriere folgoranti per pochi eletti, mentre un vasto mare di valenti musicisti è costretto a sostenersi con i proventi di altri lavori. La possibilità di affidarsi alla musica come professione prevalente era -nei tempi di formazione di Ellade Bandini – più favorita dal contesto nel quale i musicisti erano calati. Fra l’altro in quel sistema passato, che funzionava largamente sull’intrattenimento nei locali – ci ricorda Bandini – si innestava il ruolo dell’Enpals (l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei lavoratori dello spettacolo, oggi soppresso); erano così garantite prestazioni pensionistiche che -per quanto modeste- sono oggi una chimera per chi intraprende il mestiere di musicista.

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Come si può intuire da questa carrellata, l’incontro ha permesso di rivivere un mondo musicale perduto, ben noto alla maggioranza dei presenti, forse ignoto ai più giovani convenuti che magari lo considerano “giurassico”; certamente a beneficio di tutti la chiacchierata ha permesso di tradurre nella nostra realtà attuale riflessioni importanti sulle tendenze insidiose che la modernità sta sviluppando stabilmente e senza certo risparmiare il settore musicale, il quale forse ne sta soffrendo in modo particolarmente pesante.

Disegno: Umberto Scopa – Qui potete vedere il disegno per intero

Bradipo Reporter ritorna venerdì 15 marzo

2 Comments

  1. Stefano Caleffi Reply

    Ellade Bandini un grande artista, presentato in maniera brillante e coinvolgente da un altrettanto grande artista, Umberto Scopa!
    La Vignetta………azzeccata!!

    1. Filippo Reply

      Oltre a complimentarmi con l’autore di questo splendido articolo, mi auguro che Ellade abbia l’occasione di leggerlo. Ho visto diverse volte all’opera il batterista ferrarese e poi sarò di parte ma la batteria è nel mio cuore senza saperla suonare e Bandini è un esponente tra i più sopraffini.

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