Sputi

di Andrea Sbaffi Andrea Sbaffi

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Public Image Ltd – P.I.L., Campo Volo, Reggio Emilia (6 settembre 1987)

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E così era finita anche l’estate dell’Interrail…

Dopo certe esperienze, la quotidianità di una città tutto sommato tranquilla, come Bologna, rischiava di risultare davvero un po’ stretta, fra la prospettiva di finire il liceo e le aspettative sui futuri progetti.

Decido di rimanere in città e riprendere le fila dei discorsi lasciati in sospeso alla partenza per l’Interrail, prima di tutto coi Routine, il gruppo con cui sto suonando in quel periodo e con cui dovrò presto andare in studio a registrare le tracce per il nuovo album.

Non siamo ancora tutti rientrati alla base, quindi ci incontriamo con chi c’è e cerchiamo di programmare il lavoro delle settimane successive: una sera Maurizio mi propone di andare insieme a Reggio Emilia, alla Festa dell’Unità che si tiene al Campo Volo (location ancora non così famosa per i megaconcerti che si terranno dai primi anni ‘2000 e per l’Arena che sarà inaugurata proprio quest’anno).

Il 6 settembre è previsto il concerto dei Public Image Ltd di John Lydon, perfetta chiusura del cerchio del viaggio in Europa e del soggiorno a Londra in particolare, tanto sono ancora vive le sensazioni delle passeggiate fra Brixton e Portobello Road, oltre che del concerto di Siouxie di fine luglio.

I P.I.L. sono stati un caso piuttosto unico nel panorama a cavallo fra i ‘70 e gli ‘80: sorti per iniziativa di John Lydon, dopo aver abbandonato lo pseudonimo Johnny Rotten (“Johnny il Marcio”) con cui aveva guidato i Sex Pistols nella loro brevissima ed esplosiva storia di rottura, che ha dato vita al movimento Punk.

Nati nel 1976 per iniziativa del vulcanico manager Malcom McLaren, i Sex Pistols hanno rappresentato l’affermazione del diritto dei giovani di esprimersi in ambito musicale, a prescindere dal proprio bagaglio tecnico e da un percorso formativo “accademico”: la voglia di ribellione, scaturita dal desolante scenario sociale dell’Inghilterra di fine anni ‘70, contraddistinta da un alto tasso di disoccupazione, si riversava inarrestabile dai sobborghi nei locali di Londra.

La storia dei Sex Pistols è imprescindibilmente legata a tutti gli eventi che ne hanno contraddistinto la breve esperienza, efficacemente narrata nel film “The Great Rock’n’Roll Swindle” (La grande truffa del Rock’n’Roll, che ovviamente invito a vedere), nel quale lo stesso McLaren racconta come sia stato possibile costruire un prodotto commerciale a partire da concrete istanze sociali e da un’esigenza culturale: il gruppo ha pubblicato un solo album (“Never Mind The Bollocks”, ovvero Non rompete le palle….), che ha segnato indelebilmente il panorama musicale della seconda metà degli anni ‘70.

E questo è il paradosso di quell’esperienza… Ciò che appariva come uno schianto alla cultura dominante (da cui il paradigmatico nome The Clash, l’altro gruppo fondamentale del movimento Punk, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo), era in realtà un prodotto studiato a tavolino in ogni dettaglio: dalla musica, diretta e pungente, dal marketing al look, come facilmente intuibile dal totale coinvolgimento nel progetto della stilista londinese Vivienne Westwood.

I Sex Pistols rappresentano, comunque, un bel pugno nello stomaco al sonnolente e conservatore establishment britannico, che portò ai governi di Margaret Tatcher a partire dal 1979.

Esaurita la spinta propulsiva del progetto di McLaren, già nel 1978 il gruppo si disintegra per le continue tensioni fra Lydon e il bassista Sid Vicious, tossicodipendente e totalmente assorbito dal rapporto con Nancy Spungen (consiglio il film Sid & Nancy di Alex Cox, con protagonista un sontuoso Gary Oldman).

A quel punto, Lydon si era affrancato anche dall’influenza di McLaren e aveva fondato il P.I.L. insieme al chitarrista Keith Levene, reduce dalla militanza nei primi Clash: i primi quattro album vedono la luce fra il ‘78 e l’84, ma è con Album del 1986 che avviene la vera svolta nella ricerca musicale, ottenendo anche un discreto consenso commerciale.

Per quest’Album, strategicamente nominato anche, con ottimo marketing, Compact Disc o Cassette, a seconda del supporto con cui veniva commercializzato, Lydon riesce a coinvolgere nel suo progetto di pop-rock sperimentale musicisti di assoluto rilievo come Steve Vai, Ruyichi Sakamoto e i batteristi Tony Williams (mostro sacro del Jazz) e Ginger Baker (storico batterista dei Cream, ormai ritiratosi a coltivare ulivi in Toscana…).

Il concerto di Reggio Emilia è una delle tappe del lungo tour seguente alla pubblicazione di quell’album e, fin dalle prima note, a molti dei presenti appare subito chiaro che non si tratta di un nostalgico revival Sex Pistols, ma di un progetto diverso e maturo, che non strizza l’occhio alla notorietà di dieci anni prima, ma intende proporre contenuti nuovi e decisamente contemporanei, almeno per il periodo.

A molti, ma non a tutti…

Il passato di Lydon-Rotten ha, infatti, richiamato orde di nostalgici punkettoni, che si assiepano sotto al palco con l’evidente intenzione di rivangare i fasti di quegli anni, pogare allo sfinimento e proiettarsi in una dimensione ormai fuori dal tempo e dalla storia.

Questo scollamento non può che portare a un conflitto, che cresce man mano che i brani proposti dai P.I.L. sono via via più lontani da quel modello e non può che esplodere quando il gruppo propone Annalisa, uno dei brani dell’album di esordio e fra i più conosciuti.

E’ il momento in cui il manipolo di nostalgici, rinfrancato da sonorità più familiari, si scatena in una pioggia di sputi nei confronti di Lydon, provocandone la sacrosanta reazione stizzita e insofferente, in perfetto Cockney: “Please would you stop spitting?!? I do not appreciate it…” (Per favore, potreste smettere di sputare?!? Non lo apprezzo…), come si sente perfettamente nel live completo disponibile su Youtube

Da questo momento, è un crescendo di tensione e l’invito viene reiterato da Lydon interrompendo l’esecuzione di F.F.F., in scaletta due brani dopo: “Stop, Stop, Stop….!!! Vedete, non ho paura di essere una fottuta rockstar! Fuck Off!!! Dovete smetterla o ce ne andiamo a casa!”

A questo punto, la band si concede l’unica cover Sex Pistols: Holidays in The Sun, seguita ostinatamente dal brano di esordio della band Public Image, al termine del quale uno stremato Lydon saluta con largo anticipo il pubblico, tenendo fede alla promessa di poco prima, interrompendo il concerto con un laconico “Bye Bye… Bye Bye, Boys & Girls…..You’re still froleing stones… I’m going home” (Ciao Ciao…. State ancora scagliando pietre…, me ne vado a casa!).

Si conclude così, dopo solo poco più di un’ora, il concerto.

Ricordo, in quei momenti, la mia personale totale empatia con Lydon e la band: quello del musicista credo sia un mestiere meraviglioso, ma può esserlo solo nella libertà di proporre il proprio percorso e le proprie creazioni senza dietrologie e senza dover rincorrere pedissequamente un passato che non ci appartiene più e dal quale, forse, si cerca ostinatamente di affrancarsi.

Se è vero, come credo, che la nostra identità venga legittimata e definita solo nel confronto con l’altro, in questo caso assume ancor più rilevanza l’esigenza del riconoscimento delle scelte personali, che nel caso di un artista coincidono con la predisposizione all’ascolto e, anche nel caso di scarso gradimento, con il più profondo rispetto proprio di quelle scelte.

Rispetto che, mi spiace dirlo, John Lydon ha incontrato solo in una parte del pubblico di quella sera e in cui, fortunatamente, credo di poter essere considerato.

Prossimo appuntamento fra un mese, con l’articolo: Sting, Modena (30 aprile 1988)


  Io C’Ero ritorna venerdì 17 giugno


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3 Comments

  1. Enea Solinas Reply

    A proposito del movimento punk che pur con tutte le sue contraddizioni ha rappresentato e manifestato un approccio e atteggiamento di rottura e di rivoluzione (per lo meno in senso estetico musicale, ma anche di costume) trovi si possano trovare dei paralleli al giorno d’oggi? E soprattutto quali differenze incidono sulla loro possibilità di espressione rispetto ad un tempo con un’industria e una società profondamente cambiata e spesso omologata?

  2. Andrea Reply

    caro Enea,
    perdona il ritardo….
    non pretendo certo di avere risposte, ma credo che sia molto difficile fare paralleli fra il 1977 e i tempi attuali: l’esposizione mediatica della società “social” comporta che i personaggi pubblici, come gli artisti (o sedicenti tali…), vivano una sorta di schizofrenia fra la vita reale – concreta – e quella veicolata nel network – effimera…
    la “rottura” del movimento punk era precisamente riferita alla vita reale, con tutte le concrete contraddizioni delle società occidentali degli anni ’70, preludio all’edonismo reaganiano dei decadenti anni ’80…
    lo scenario attuale, senza alcun giudizio di merito, mi sembra profondamente diverso: ogni fenomeno musicale diventa, gioco forza, un fenomeno mediatico, con tutto il carico di “apparenza” a fare da contraltare alla “sostanza”.
    le rockstar di oggi non esisterebbero senza adeguati e competenti team che ne curino ogni dettaglio, dal look ai social… in questo, forse, sta l’unico sensato parallelo con l’esperienza dei Sex Pistols, come sappiamo fortemente condizionata dal “progetto” di Malcom McLaren per costruire un prodotto commerciale di successo: forse, inconsapevolmente, ha tracciato una via che ha condizionato tutta la produzione musicale dagli anni ’80 ad oggi.
    la capacità di esprimere un’istanza, sta forse ora in dimensioni che noi “dinosauri” musicali non riusciamo a cogliere…: ci sono movimenti “dal basso” che si riconoscono in generi musicali a noi alieni… la trap, come ogni prodotto delle dinamiche “rave” o legate ai social, si riferiscono ad un’immaginario per noi difficilmente comprensibile….
    per chi, come me, ha attraversato dal rock di rottura al jazz raffinato dei jazz-club, tutto ciò rappresenta una realtà sfidante e, spesso, di difficile lettura.
    provo a confrontarmi coi miei figli (che vanno dai 20 ai 17 ai 14 anni), rendendomi conto di faticare ad entrare in sintonia, pur consapevole di aver fornito loro strumenti di “consapevolezza musicale” ben superiori a quanto trovano nei loro coetanei.
    mi sa che ci toccherà organizzare un evento-bradipo sul tema: chissà che, confrontandoci, non saremo capaci di trovare una chiave di lettura….

  3. Enea Solinas Reply

    grazie per la risposta, in perfetto tempismo bradipo.
    la mia impressione e la domanda era un po’ retorica o pregiudiziale – è che musica, costume “messaaggio” (anche valenza estetica di rottura, o cambiamento, erano in generale un tempo fenomeni sociali e appunto non mass-mediatici, costruiti a tavolino QB ma fondamentalmente genuini. è la mia personale opinione e credo che in questo sia caduto il risvolto politico di ogni forma espressiva.
    Walter Benjamin diceva che all’estetizzazione della politica (ridotta a vane parole, slogan, indistinzione e appiattimento delle opinioni) si può contrapporre una politicità dell’estetica. In un mondo pieno di automatismi e di prodotti e prosumer precotti? Forse l’autenticità è da ricercare proprio nel lento e differenziato, sfaccettato fenomeno della strada, della società che non si vuole omologare.
    Aggiungo che in anni passati in un’industria molto diversa gli artisti evolvevano e ogni dettaglio anche commerciale del loro mestiere era comunque frutto di un ingegno collettivo e professionale (penso alle copertine dei dischi, alle locandine dei film dipinte a mano…)
    forse oggi sono solo cambiati i tempi e pur notando eccezioni tempo che tutto dipenda più dalla personalità dell’artista e quindi sia individuale o particolare.
    forse che queste due dimensioni possono convivere sapendone distinguere i presupposti?
    Sono un po’ nostalgico, magari disorientato, ma mi rendo anche conto che non si può e non vale la pena augurarsi o illudersi di tornare indietro. forse trovare vie semplici di costruzione di senso del proprio esprimersi collettivamente e individualmente. e questo è un discorso che non riguarda solo le star o gli / le influencer…
    approvo l’idea per un evento pubblico su cui intavolare un dibattito inter-generazionale. Sarebbe un bel confronto, senza assolutismi e arroccamenti “per partito preso”.
    Ti invito a idearlo e a proporlo a partire da questo sito…

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