Il Buco

 di Angela Melis

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Il cinema è l’unica forma d’arte che – proprio perché operante all’interno del concetto e dimensione di tempo – è in grado di riprodurre l’effettiva consistenza del tempo – l’essenza della realtà – fissandolo e conservandolo per sempre. Andreij Tarkowski

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Con l’espressione slow cinema (cinema lento), si fa riferimento a un genere caratterizzato da lunghe inquadrature e uno stile minimalista. Generalmente definito come un cinema in cui accade nulla, lo slow cinema sembra rappresentare un paradosso in questa epoca dominata da ritmi sempre più vorticosi, dove il tempo per la riflessione e le pause si riducono sempre di più. Il cinema lento infatti non vuole accontentare un pubblico impaziente ma spingerlo alla contemplazione e alla riflessione (tornerò più avanti sull’argomento con un articolo specifico).

Tra i registi appartenenti a questa corrente stilistica va sicuramente inserito il regista Michelangelo Frammartino, di origini calabresi ma nato a Milano, che esordisce con il lungometraggio Il dono (2000), seguito, dieci anni più tardi da Le quattro volte (2010).

Il suo ultimo film, Il buco (2021), presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in cui ottenne il premio speciale della giuria, è incentrato sulla storia vera di un gruppo di speleologi che, nel 1961, si recò nel profondo sud, precisamente nell’entroterra calabrese, con lo scopo di esplorare, per la prima volta, l’abisso del Bifurto nel Pollino, una grotta verticale che raggiunge i 683 metri di profondità, ritenuta allora la grotta più profonda della terra.

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La storia raccontata da Frammartino, scandita da lunghe inquadrature che lasciano il tempo allo spettatore di contemplare le immagini che si susseguono, non solo è una storia di silenzi, ma soprattutto di forti contrasti tra quanto accade all’interno della grotta, in cui vengono mostrate scene claustrofobiche, che trasmettono un senso di angoscia acuita dalla scarsa visibilità, la vita tranquilla che si svolge all’esterno e il fervore scatenato dal boom economico di quegli anni.

Nelle scene iniziali del film infatti ci vengono mostrati gli abitanti di un villaggio che non sembrano avere alcun interesse per il paesaggio che li circonda, tanto da non rendersi nemmeno conto dell’arrivo del gruppo degli speleologi: sono riuniti in un bar per guardare la televisione, rigorosamente uno schermo in bianco e nero, che trasmette il telegiornale. In onda c’è un servizio che presenta un giornalista intento a cavalcare l’impalcatura sospesa di un grattacielo di Milano per mostrare la prospettiva di un lavavetri. Il progresso che avanza distoglie lo sguardo dalla bellezza naturale: e il progresso che avanza è rappresentato dalla costruzione del Pirellone, che risale al 1961, annunciato all’epoca come il grattacielo più alto d’Europa, una costruzione che si sviluppava in altezza che fa da contraltare all’abisso della grotta.

Le immagini della discesa nella grotta (effettuate da Renato Berta) da parte degli speleologi si intrecciano con quelle della discesa verso la morte di un anziano pastore, che vive nei pressi della grotta, ormai in fin di vita: il suo volto, segnato da profonde rughe, incarna il lento scorrere del tempo di un mondo che sembra destinato a non esistere più. E’ l’unico abitante del villaggio che si rende conto dell’arrivo degli speleologi: l’ultima fase della sua vita si intreccia con le nuove imprese storiche (la discesa nella grotta, la costruzione del Pirellone, il boom economico e così via).

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Il film di Michelangelo Frammartino non svela un particolare messaggio: è un invito a riflettere sullo scorrere del tempo e a pensare a qualcosa che va oltre il paesaggio e la temporalità.

Conoscete il film di Frammartino? Se l’avete già visto o avete intenzione di guardarlo, lasciate un commento Il film “Il buco” è disponibile su RaiPlay.

Foto: pexels.com

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