Sei Voci Divine

di Andrea Sbaffi

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Take Six, Music Pool ‘97, Teatro Puccini (Firenze, 14 aprile 1997) – Take Six, Gru Village (Grugliasco – TO, 15 luglio 2009)

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Può un uomo solo sovrastare un intero coro di oltre trenta elementi?

Sembra impossibile, ma la risposta è SI!!! Se si chiama Alvin Chea, decisamente si….

Ho fatto questa scoperta quel 15 aprile 1997 al teatro Puccini di Firenze, dove si esibivano i Take Six, preceduti dal coro Jubilee Shouters, nato anni prima nell’ambito delle scuole di canto fiorentine: l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire!

Arrivato al teatro, ero riuscito a prendere uno degli ultimi biglietti disponibili, non tanto a causa di chi era convenuto, come me, per il sestetto vocale americano, quanto piuttosto per la folla di parenti e amici dei coristi locali, che aveva sostanzialmente riempito la platea.

L’esibizione del coro è stata anche piuttosto dignitosa e coinvolgente, con arrangiamenti tendenti al Gospel, più che al canto a cappella, e ovviamente accolta da sperticate ovazioni da parte del pubblico amico.

Potete immaginare la sorpresa quando, conclusa la scaletta del coro con tutto il climax del finale “a tutto volume” e dopo un breve cambio palco (trattandosi di sole voci, la cosa non era difficile…), dal buio è emerso un solo omone di quasi due metri ed è letteralmente cambiata la musica: dalla prima nota siamo stati investiti da una profondità, un “corpo” e una nitidezza lontani anni luce dai, pur validi, coristi che l’avevano preceduto.

Già solo le poche note, cantate da solo, dell’introduzione al primo brano, si percepivano a un volume più alto di quello che ci era rimasto dall’esibizione precedente, dando quasi la sensazione di essere a pochi centimetri dalla sua cassa toracica e non in fondo al teatro. E il merito non era dell’amplificazione, costituita solo da microfoni panoramici, quindi in grado di captare i suoni ambientali entro un certo raggio, ma proprio dell’estensione vocale pazzesca di Alvin, la voce-basso dei Take Six.

Si erano incontrati a metà degli anni ‘80 in un piccolo college di Huntsville in Alabama, dando vita a un ensemble vocale Gospel, presto trasformatosi nella più talentuosa formazione A Cappella mai sentita. Così, nel 1987 organizzarono a Nashville uno showcase, convocando i manager delle più importanti major musicali e ottenendo immediatamente un contratto con la Warner!

Il primo disco, l’omonimo Take 6, viene pubblicato nel 1988 ed ottiene un successo strepitoso, proiettando il gruppo nell’olimpo musicale americano, grazie alle prime turnée e show televisivi, ed aprendo la strada a collaborazioni con giganti come Quincy Jones, Ella Fitzgerald, Al Jarreau, Branford Marsalis e tanti altri. (qui il brano d’apertura Gold Mine, la cui intro di un’orchestra che si accorda, dichiara fin dall’inizio l’intenzione del sestetto: realizzare con sei voci le armonie che potrebbero caratterizzare un ensemble strumentale).

In fondo, la formula è semplice: si prendono un basso, un baritono, due primi tenori e due secondi tenori e, shakerando ben bene, se sono tutti e sei dei veri e propri fenomeni (!) il gioco è presto fatto…

Il repertorio proposto spazia dai traditional gospel agli standard jazz, fino agli immancabili canti di Natale: ma quanta classe, quanto gusto riescono a mettere negli arrangiamenti e nelle dinamiche delle loro esecuzioni.

Il secondo album So Much To Say (qui la title track in una versione Live di una quindicina d’anni fa) conferma e, se possibile, aggiunge ulteriori preziose sfumature al successo dell’esordio.

L’anno successivo, pubblicano un album di canti di Natale: operazione che potrebbe risultare stucchevole, se non fossero riusciti ad incidere fra le più belle versioni dei canti che tutti conosciamo, come questa Hark The Herald Angel Sings (qui in versione Live, con tanto di spartito in calce… ), che altro non è che il  familiare inno – per i membri delle chiese protestanti – Innalziam fratelli il canto, traduzione dell’originale del pastore inglese Charles Wesley, fratello del John fondatore del Metodismo, e nella quale è sorprendente la pulizia nei cambi di note, che ricorda la dinamica di un organo in chiesa (d’altronde, sono canti di Natale…).

Oltre alla potenza della musica, una cosa che mi ha sempre colpito dei Take Six è la tenacia con cui hanno cercato di mettere sempre al centro della loro proposta un messaggio evangelico, sostenendo che fosse questa armonia e comunione di intenti nel condividere un’esperienza di fede a dare forza alla loro musica. Una dichiarazione sintomatica è: “Vogliamo portare il nostro messaggio al maggior numero di persone possibile, qualcosa di positivo in un mondo di negatività. Come la gente pensa che i Take Six siano qui per farli divertire, così i Take Six pensano di essere qui per servire!”.

Negli anni successivi hanno esplorato ancora altre strade, ad esempio un album con l’accompagnamento di una band Jazz, che forse ritenevano un confronto necessario, ma che ai fans di vecchia data risultava un po’ penalizzante delle loro immense possibilità vocali.

Proprio nel periodo del concerto al Puccini, avevamo provato a riprendere alcuni loro arrangiamenti con il coro Nefesh di Firenze, nel quale insieme a Daniele arrancavamo indegnamente per raggiungere le note più basse del vecchio Alvin…: oltre alla citata Hark The Herald Angel Sings, eravamo riusciti a riproporre una ballad del primo disco, A Quiet Place (qui in una versione nella ormai tristemente familiare modalità pandemica con i riquadri, ognuno a casa sua…, di un paio di anni fa).

Molti anni dopo, sono tornato a sentirli a Grugliasco, ritrovando lo stesso smalto della prima volta e contento di rinnovare un momento di condivisione con questi ambasciatori dell’armonia vocale e portatori di un messaggio ben più profondo che, forse con un pizzico di presunzione, mi sembrava di essere uno dei pochi a cogliere nella sua pienezza e potenza.

La scansione è il biglietto di quel concerto del 2009 e che, per la prima e unica volta, mi sono sentito di far autografare da questi fantastici ragazzi!

Appuntamento al prossimo articolo: Herbie Hancock Sextet, Umbria Jazz 1997

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Foto: scansione biglietto originale del concerto

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Io C’Ero ritorna martedì 28 febbraio

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