Migranti

C’è sempre un “ma” a rovinare le facili classificazioni, l’inscatolamento delle risposte preconfezionate, a turbare i sonni…

Si fa presto a dire… migranti. Certo, per uno che abita a Ventimiglia e che da ormai molti anni si trova, volente o nolente, a fare i conti con una presenza ormai stabile di circa 500 migranti, alcuni dei quali in attesa dell’accettazione della richiesta di asilo, altri solo speranzosi di trovare un “buco” nella cortina francese e di varcare la frontiera, si potrebbe davvero fare presto a dire migranti, ma…

C’è sempre un “ma” a rovinare le facili classificazioni, l’inscatolamento delle risposte preconfezionate, a turbare i sonni e i luoghi comuni, a impiastricciare e stropicciare l’animo.

Migranti… detto così sembra una massa indistinta, un’entità minacciosa, un moloch, nero come la pece, pronto a saltare sulle sponde italiche (e ventimigliesi) da una gigantesca arca di Noè in fuga non da un diluvio d’acqua, ma da cambiamenti climatici, guerre, sfruttamento… o forse solo spinto dal sogno di un maggiore benessere economico, di una vita diversa da quella vissuta fino alla partenza da casa.

Sì, si fa presto a dire “migranti”, ma cosa si nasconde dietro questo termine così generico?

Un po’ come quando il termine “marocchini” (poi soppiantato da “vu’ cumprà”) designava ogni venditore ambulante africano, “migranti” è una categoria anonima ed indistinta.

Succede lo stesso con il termine “stranieri”, o anche “europei”. Anche lì si fa presto a dire… ma cosa accomuna uno statunitense a un coreano? O uno svedese a un greco? Anche a casa nostra, senza fare razzismo, un veneto ha tratti fisiognomici, tradizioni, modi di esprimersi e di vivere molto diversi da un ligure, un napoletano o un pugliese…

E allora perché “migranti” e non etiopi, tunisini, senegalesi e, andando più lontano, siriani, cingalesi, afgani…

Perché così è più semplice. Se dico “migranti”, parlo di una massa informe, nera e minacciosa (come dicevamo sopra), anonima, indistinta e non riconosciuta. Se dico “siriano” o “nigeriano” faccio un passo ulteriore. Se arrivo a conoscere e chiamare per nome Assad, o Ibrahim, o Aisha, la trasformazione da massa a singolo individuo, a persona, è completa.

E forse sono proprio lì le radici dell’incomprensione e della paura, su cui molti vanno a cavallo: la spersonalizzazione. Se rimane massa ho paura, se diventa una persona conosciuta nasce l’accoglienza.

Mi è capitato di sentire alcuni amici lamentarsi dell’invasione dei “migranti” e dei pericoli che comporta, ma poi vederli dare, gratuitamente, i loro terreni ad alcuni migranti affinché li coltivassero e ci guadagnassero da vivere. “Perché? Ma lui non è un migrante?” ho chiesto. “Lui è Mohammed; lo conosco, è una brava persona che vuole lavorare.”

Lo conosco, ho riconosciuto la persona, l’ho staccata dalla massa. Ora ha un’identità, la sua, e davanti all’identità i preconcetti si sfaldano… e portano via anche le paure.

GRAZIANO CONSIGLIERI

Foto: Graziano Consiglieri – lasicilia.it

Si Fa Presto A Dire… ritorna giovedì 31 ottobre

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