La Paura

di Giuseppe Rissone

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Dal pericolo inaspettato, di sorpresa o imminente nasce la paura

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Giorgio Gaber nel monologo La Paura tratto dall’album Polli di allevamento del 1978 così recita  la paura è un odore e i viandanti lo sentono. 

In questo tempo dove i tuoni della guerra, delle carneficine sono un “bombardamento” quotidiano – con il solito giochino di molti media nazionali del chiodo scaccia chiodo: nuova guerra scaccia la vecchia – e con il rischio che qualcosa possa accadere nelle nostra “tranquilla” Europa, lo stato emotivo della paura ha invaso anche il sottoscritto. 

Partecipare o non partecipare a determinate attività? Svolgere il servizio di accoglienza presso il Tempio Valdese di Torino, assistere ad un concerto in un grande teatro della mia città, gremito di persone e dove i tuoi vicini di poltrona citano il Bataclan?

Gaber racconta di camminare per le strade di una città, ad un’ora tarda e di vedere un uomo che tiene in mano qualcosa. Vive un momento di forte paura, causata dalla diffidenza che ha verso l’altro. Comincia a correre, spaventato dall’idea che l’altro possa avere in mano chissà cosa e quando passa, inizia a contare, in attesa del peggio. Poi la sorpresa finale: l’uomo ha in mano un mazzo di fiori e, dolcemente, gli sorride e va via. Nell’incipit viene descritta la Luna, Gaber mostra come la società sia diventata diffidente e malpensante, come l’uomo non sia più lo stesso e abbia paura dei suoi simili: Ho avuto paura di un’ombra nella notte, ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato è che poteva essere semplicemente, una persona. La luna, continua a essere immobile e bianca, come ai tempi in cui, c’era ancora l’uomo.

Il monologo è stato scritto 45 anni fa, ma è assolutamente valido ancora oggi, dove siamo diventati ancor più diffidenti verso l’altro – la pandemia ha dato un colpo secco – e gli avvenimenti di queste settimane esasperano – se ancora ce ne fosse bisogno – la nostra insicurezza, in parte indotta e in parte intrinseca del nostro pensare e vivere quotidiano.

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La foto che accompagna questa piccola storia quotidiana è riferita ad un concerto di Vinicio Capossela, dove il cantautore si è presentato sul palco con un elmetto cantando Sul divano occidentale, ho collegato questa scelta al fatto che i rumori di una guerra mondiale si avvicinano e ci mettiamo il copricapo da soldato, anche se lo facciamo da un divano: Sul divano occidentale/Arruolati da sdraiati/Disputiamo, guerreggiamo/Interventisti sul divano.

Le informazioni che ci vengono propinate sono tese più ad alimentare la paura che informarci davvero su quello che sta accadendo. Siamo schiacciati e messi sotto pressione dalla minaccia di turno: il terrorismo, la crisi economica, l’immigrazione, poi la pandemia e ora la guerra. Fenomeni oggettivamente diversi finiscono per provocare le stesse reazioni, alimentare le stesse morbosità e per lasciarci esanimi sul divano, mentre smanettiamo sul cellulare, guardiamo distratti qualche Tg e finiamo con ordinare una pizza…

La paura è qui che fa capolino nelle mie giornate, e ogni segno, anche il più piccolo mi mette in allarme, un rumore intenso e imprevisto, una borsa abbandonata, qualcuno che si aggira con fare sospetto, come il viandante di Gaber, e molto probabilmente il mio corpo emana un’odore… Cerco di esorcizzare il tutto pensando che qui non può accadere, e cercando di ritornare lucido penso che in questa situazione ci hanno messo dei signori che credono di essere i padroni del mondo, che con le loro azioni innescano odio, risentimenti, estremizzazioni, facendo pagare il prezzo a inermi civili, che hanno solo il torto di vivere nella parte del mondo dove questi signori decidono e comandano. E guai a provare a raccontare la storia in modi differenti, si viene tacciati di essere filo terroristi, personalmente non giustifico nessun atto di violenza, allo stesso tempo sfogo la mia rabbia mentale verso chi ha permesso che tutto questo accadesse.

Ho anche paura di chi sostiene una certa supremazia solo per il fatto di essere nato in un certo posto, come se nascere in Occidente fosse un premio, dato poi chissà da chi, se i miei genitori avessero preso un’aereo, una nave, per trasferirsi altrove non sarei quello che sono, potrei anche professare un’altro credo, parlare un’altra lingua, questo non farebbe di me un uomo migliore o peggiore, farebbe di me un uomo modellato da un’altra cultura, se riuscissimo a comprendere questo principio del non merito o demerito in base al luogo di nascita, forse e l’insicurezza e la paura di questi giorni non si paleserebbe in forme così pesanti.

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Chiudersi in casa non è la soluzione, e di conseguenza proseguo con le mie attività, sono andato al Tempio valdese per il mio turno, sono andato al concerto, e continuerò a vivere nel modo più normale possibile, facendo i conti con la paura, che non scompare nelle mure delle nostre case e utilizzando le parole ancora di Gaber: Perché il giudizio universale/Non passa per le case/Bisogna ritornare nella strada/Nella strada per conoscere chi siamo. È anche questo esserci relegati nelle nostre comode case – se preferite chiamatelo privato – e non aver vigilato e fatto in modo che la storia prendesse un’altro verso se ci troviamo in questa situazione.

Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso: più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente. Così recita il vocabolario Treccani, nulla da eccepire, come credente – per qualcuno diversamente credente in quanto protestante – prego Dio che ci aiuti a gestire tutto questo, e risponda più che alle nostre grida a quelle che vedono la loro vita e quella dei loro cari saltare in aria, per il volere di chi non è una bestia – come ha detto giustamente Michele Serra in un suo monologo televisivo –  perché le bestie non odiano, ma sono l’espressione dell’uomo – di qualsiasi fede, credo politico, luogo di nascita – che non è in grado di vedere nell’altro se stesso.

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Foto: Giuseppe Rissone

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Piccole Storie Quotidiane ritorna martedì 21 novembre

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