Il Capochinismo

Difficoltà a vivere questi tempi, evitando la dipendenza dal mezzo di comunicazione imperante… e dal capochinismo…

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⇒ di Giuseppe Rissone Piccole Storie Quotidiane

E’ inutile nasconderlo, tenere in “vita” questa rubrica e il sito in generale non è stato semplice, era importante creare un mix tra quello che stiamo vivendo e la “normalità” degli argomenti a noi cari, e con una piccola dose di presunzione siamo certi di esserci riusciti. Per quanto riguarda, nello specifico, questa rubrica, questo doveva essere l’ultimo appuntamento prima della pausa estiva, è diventato il primo della ripresa. Inizio con una confessione. Ho commesso un “reato”! Quello di non aver mantenuto la parola… di poter fare a meno del telefonino, del cellulare, dello smartphone… Lo scorso Natale ricevo in dono – dai miei familiari – uno di questi famigerati oggetti: il più basico, il più semplice tra quelli in commercio sentenzia mio figlio. La mia reazione è stata quella di chi ha appena ricevuto l’ennesima cravatta – per di più brutta – è cerca in tutti i modi di nascondere il proprio disappunto. Comprendo che il gesto è stato dettato da motivi pratici, però l’idea di avere quel rettangolo tra le mani mi ha dato un senso forte di fastidio.

Ho inscatolato il tutto, messo in un cassetto, con la promessa che ci avrei messo mano e attivato il numero, ho fatto trascorrere un mese, il regalo a riposare nella sua scatola, poi “costretto” dal mio primogenito, ho dovuto arrendermi.

Ho messo delle regole ferree, il coso – che da alcune settimane ho battezzato Ernesto – rimarrà acceso solo nei momenti di casa/lavoro e lavoro/casa, nei fine settimana qualcosa in più, poco wattsapp, numero dato a pochissime persone.

Di queste regole ne ho mantenute la maggior parte, qualche messaggio è partito, nella stretta cerchia familiare e con qualche amico, gli orari di accensione sono stati per lo più rispettati, la rubrica dei contatti si è arricchita di giorno in giorno di nuovi nomi, ma di telefonate molto poche e strettamente necessarie.

I primi giorni ho utilizzato l’oggetto nelle sue funzioni extra, navigare in Internet e in particolare per ascoltare musica, che bello qualsiasi cosa mi venga in mente posso ascoltarla, questo entusiasmo è durato una settimana, poi mi son detto se ascolto musica difficilmente leggo, e rischio di isolarmi, così le cuffie sono state riposizionate al fondo dello zaino…

Negli stessi giorni ho letto sul quotidiano La Stampa la notizia di un agente della Polizia locale che si è ucciso a Palazzolo, nel Bresciano, sparandosi con la pistola d’ordinanza. L’uomo era finito fra le polemiche per aver parcheggiato l’auto della Polizia in un posto riservato ai disabili a Bergamo vicino a una sede universitaria. L’agente era stato preso di mira sui social, si era scusato e si era anche auto-multato. L’episodio risale allo scorso 24 gennaio. Il presidente dell’Associazione nazionale mutilati e Invalidi Civili, denuncia un’auto della Polizia locale di Palazzolo parcheggiata in un posto per disabili. Scattata una foto, la pubblica sul suo profilo Facebook e fa divampare le polemiche. Alla fine l’agente responsabile chiede scusa: Non ho parole per esprimere il mio rammarico. Non era mia intenzione, ma purtroppo mi sono confuso con la segnaletica. A distanza di pochi giorni il tragico epilogo. Il collegamento tra il suicidio con il parcheggio e il successivo attacco sui social non è confermato, ma non può essere escluso, quello che è sicuro è la velocità con cui i “nuovi” mezzi di comunicazione emettono sentenze, con tanto di popolo giudicante che non lascia spazio a spiegazioni e giustificazioni.

Il modo in cui sono utilizzati alcuni strumenti ricordano sistemi che pensavamo dimenticati, quelli dove il presunto colpevole non ha ne il tempo ne il modo per presentare uno straccio di difesa, e gli si rivolta addosso soltanto una marea di accuse, con l’aggravante che tutto questo non è rinchiuso in un aula di Tribunale ma in una piazza virtuale dove tutto possono accedere.

Con il dono ricevuto, forse questa storia ha poco a che fare, però ho avuto la sensazione che l’oggetto in questione possedesse tutta una serie di forme attrattive, difficilmente combattibili, e che si potesse correre il rischio di far parte di un sistema comunicativo – che rifiuto in toto – quello del giudizio emesso in un clic, senza smentite e ripensamenti, che rimane lì a tempo imperituro, a dirti che forse anche se per poco, qualche colpa c’è l’hai…

Così il telefono è tornato non nel cassetto, ma nella tasca, pronto a ricevere telefonate o messaggi, a farne o a scriverne in caso di bisogno, nulla più, e solo in alcune ore del giorno, e non tutti i giorni…

Poi dai primi di giorni di marzo tutti a casa, e il poco amato rettangolo è diventato strumento di lavoro, limitando allo stretto necessario i contatti, per evitare che con la scusa tanto sei a casa… le telefonate potessero giungere a qualsiasi ora della giornata e in qualsiasi giorno della settimana. Da due settimane il lavoro è ripreso nel luogo deputato, tutto questo amore per il “lavoro da casa” non mi affascina, almeno non con le non regole con cui oggi è regolato il lavoro domestico. Di recente ho letto un neologismo, applicato all’uso incontrollato delle nuove tecnologie, il capochinismo, abbassare il capo davanti alle ingiustizie e alle regole imposte non è mia abitudine, e l’idea di passare la mia giornata con il capo chino davanti ad uno schermo, mi crea un brivido in mezzo alla schiena, mi fa pensare a una società dove tutti siamo connessi, non per creare una comunità solidale, ma con un sistema di controllo dei nostri pensieri, gusti, abitudini.

Questa storia potrebbe terminare qui, però intendo aggiungere una postilla, una postilla sulle mascherine. Malvolentieri, per il caldo ma non solo, dobbiamo indossarle per diverse ore al giorno, esse sono un dispositivo che definirei di rispetto per l’altro, regola non completamente compresa da tutti. Detto questo, la mascherina è diventata un oggetto di moda, venduta in mille fogge e colori, fare di un dispositivo di cui speriamo di liberarcene al più presto, un oggetto da sfoggiare secondo me stride con il perché abbiamo quello strumento sul viso, il perché è una pandemia che continua a uccidere, ad ammalare milioni di persone. Sento odore di sciacallaggio, lucrare e non poco su una situazione così triste mi rende triste – scusate la ripetizione, però inevitabile – e cosa altrettanto deprecabile è vedere decine di esse ai bordi dei marciapiedi. Tutto questo proietta la mia mente verso un futuro che non mi piace e mai avrei voluto vivere, una società ipertecnologica, dove lo spazio per l’incontro è ridotto ai minimi termini, dove esiste un unico pensiero. La pausa estiva non ha fatto salire il mio umore, abbastanza depresso da mesi, ne riparleremo, se volete naturalmente… Dedico questo articolo ai gatti – il mio animale preferito – che di caponichismo non sembrano mai aver sofferto, rimanendo liberi da ogni tipo di condizionamento.

⇒ Foto: Laura Rissone ≈ Prossimo Appuntamento: lunedì 12 ottobre

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