Divina Commedia

di Sara Migliorini raiplay.it

Regalatevi il piacere d’innamorarvi dei versi immortali di un genio della letteratura

Manca poco alla fine dell’anno e non posso lasciarlo finire senza avervi parlato di un autore che mi fa brillare gli occhi al solo sentirne il nome. Che, poi, per amor di precisione, io non vi parlerò di lui, perché chi sono io per poter disquisire su Durante Alighieri, universalmente conosciuto come Dante, su cui hanno scritto fior fiore di critici e studiosi? Ecco, io mi tiro indietro di fronte al tutto che già è stato scritto su di lui e, soprattutto, mi ritiro in buon ordine davanti all’immensità del suo genio. Nell’anno in cui si è celebrata la ricorrenza dei 700 anni dalla sua morte, la mia vuole essere solo una testimonianza del grande amore che nutro per la bellezza che ha saputo creare con i suoi versi. E un invito a riscoprire, per chi ancora, stranamente, non ne fosse innamorato, le sue opere, a partire dalla “Divina Commedia”.
Dimenticatevi tutte le ore trascorse in classe a sviscerare il contesto sociale, i riferimenti politici, le allegorie, le tematiche dottrinali di cui è intrisa l’opera. Dimenticatevele, non perché non siano importanti, ma perché, prima ancora di tutto ciò, la Commedia scritta da Dante è poesia, è musica, è armonia e prima che con la ragione bisogna accostarsi a lei con il cuore.
Dante ci ha fatto un regalo immenso, la lingua che ancor oggi parliamo. Per comporre le terzine delle tre cantiche, Dante ha utilizzato la lingua della sua Firenze, il volgare fiorentino e ha “inventato” una lingua nuova, uguale per tutta la penisola. Una lingua di una complessità straordinaria, ricca di sfumature, di varianti lessicali, di assonanze, una lingua, secondo me, ai giorni nostri troppo spesso impoverita da anglicismi avvilenti. Inoltre, per il suo capolavoro, Dante ha usato l’endecasillabo, che a prima vista sembrerebbe un banale verso composto da undici sillabe e che, in realtà, è il verso più vario, più armonioso, più intriso di ritmo.
A questo punto, di regalo in regalo, quello più grande che potete fare a voi stessi è prendere in mano la “Divina Commedia” e leggerne i versi ad alta voce. Non fatevi scoraggiare se non ne afferrate il significato o non ne cogliete tutti i riferimenti, concentratevi solo sulla vostra voce e sui versi che ripetete. Prendete gli endecasillabi, tutto sommato interlocutori, con cui, nel decimo canto dell’Inferno, Farinata degli Uberti si presenta a Dante:

“O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto”.

Questi pochi versi, di presentazione, non carichi di significati come altri all’interno della Divina Commedia, sono, tuttavia, di rara bellezza. Ascoltatevi mentre li ripetete. Fatevi rapire dall’armonia creata da queste parole, così come vi rapiscono all’ascolto Beethoven, Louis Armstrong o i Rolling Stones. Ancora prima di capirla, la musica viene compresa, sentita con l’anima e così è anche con la poesia di Dante. Non è un caso che si parli di cantiche, canti quando ci si riferisce alla Commedia. Ecco, questi versi vanno prima di tutto compresi con l’animo, assorbiti per la loro musicalità. Poi, in un secondo momento vi verrà la curiosità di scoprire chi è Farinata e perché si rivolge così a Dante, di capire, di conoscere e approfondire. Di primo acchito, però, vi dovete semplicemente regalare il piacere della lettura e farvi trascinare dalla bellezza delle parole.
Ve lo garantisco: sarà una scoperta incredibile, di terzina in terzina, di canto in canto. Poi, se volete, ci ritroviamo qui a parlare dei versi a cui rimarrete più legati, perché ne troverete a profusione, di questo ne sono sicura.


Il Bradipo Legge ritorna lunedì 3 gennaio


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3 Comments

  1. Susanna Tamplenizza Reply

    Grazie Sara. Il tuo incoraggiamento a leggere Dante è fresco e autentico, appassionato e convincente. E poi a leggerlo ad alta voce. Giusto! Così si deve fare.

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