Crisi

di Enea Solinas

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Pandemia, infodemia, guerra, crisi sociale, energetica, ambientale: quanto lavoro per le comunità!

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Lo dico senza mezzi termini, e con spirito polemico contro qualsiasi antipolitica e presunzione che le ideologie siano finite. Forse sono meno identificabili, meno riconoscibili, ma ogni scelta, ogni decisione, presuppone per favorire la convivenza e l’attuazione di diritti e doveri, una non contraddizione e un orientamento ideale e politico. Dunque anche se non esplicitata, l’agire di chiunque è intrinsecamente politico. E l’ideologia – quando non è fine a se stessa – disegna e designa una certa visione e direzione possibile.
Viviamo l’epoca della complessità. E parimenti, da decenni, prosegue la tendenza alla banalizzazione e all’individualismo.
Più che delle soluzioni o delle spiegazioni pongo delle domande. Che si fondano anche sul ricordo di un pensiero che tenta di conciliare libertà individuale e giustizia sociale.
La prima domanda, in un’ottica culturale: cosa significa tener presente la complessità delle questioni grandi e piccole?
I comportamenti privati sono sufficienti a generare un cambiamento?
Le comunità – o collettività – accomunate da un sentire e da un agire comune – inteso come operare su di sé e su più o meno direttamente su tutte le persone che le compongono, quali strumenti e modalità si riconoscono, al di là degli aspetti organizzativi e/o tecnici?
Nell’era della supremazia della tecnica (di cui tutta la capillare e imprescindibile diffusione della tecnologia telematica è uno degli effetti), nata già in epoca moderna, come non sottostare al meccanismo di utilizzo del mezzo senza sapere non solo i funzionamenti ma gli effetti che può ingenerare, ancorché in gran parte imprevedibili e automatici, come conservare un modo di porsi e relazionarsi autentico?
Quali destrutturazioni dirigono l’azione verso un agire non-violento? E in particolare cosa comporta in termini di dominio e legittimazione e cura di sé?
Come mobilitare e generare piccoli cambiamenti locali in linea di principio – ideale e concreta – concordi con i principi costituzionali e con l’aspirazione alla partecipazione quale strumento di emancipazione e liberazione – oltre che di resistenza?
Il mondo naturale è sempre più relegato alla sovraintendenza dell’umanità – il quale lo ha nel corso di secoli e secoli, modificato e in epoca recente guastato, corrotto? Basta sottrarsi alla pretesa di dominio, o la cura di un orto urbano, o la riforestazione, la riduzione dei consumi, la partecipazione attiva alla vita pubblica sono una par costruens correttiva e necessaria?
Domande forse retoriche, ma che interrogano il nostro rapporto con l’ambiente urbano, il nostro esercitare una relativa sovranità sulle nostre scelte consapevoli, un sentirci inclusi e compresenti.

Le Cronache del dopovirus di quest’anno, interrogano il presente: un tempo che sfugge alle categorizzazioni, tempo ignoto, pieno di contraddizioni e opportunità. Cercano di riflettere sui nessi tra le varie questioni, senza la presunzione di educare “convertire” nessuno. È un esercizio non peregrino, che desidero condividere. Che ripropone questioni aperte, e spesso cogenti, costrette nelle dinamiche di un mondo troppo veloce, accelerato, con tendenze reazionarie e conservatrici, in cui latenti le paure insinuano una solerte inquietudine che solleva dubbi, e incoraggia a non aver paura nell’affrontare affrontare difficoltà che ci uniscono tanto quanto le opportunità, in una sfera di interdipendenza biopsicosociale e di pensiero.
Piccoli contributi alla passione per la complessità, per realizzare piccoli grandi cambiamenti, semplici ed efficaci.

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Foto tratta da pixabay.com

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Cronache Del Dopo Virus ritorna lunedì 24 ottobre

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