Mister Drum!

di Andrea Sbaffi

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Dave Weckl Band, Giotto Jazz Festival, Teatro Accademia, Pontassieve (FI) (05/04/2002)

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Per chi fosse entrato in contatto col mondo degli assoli di batteria grazie al fortunato film Whiplash, di dieci anni fa, i video linkati a questo articolo mostreranno una realtà un po’ diversa: pur avendo apprezzato molto il film, grazie soprattutto alla strepitosa performance del maestro di musica, interpretato da J.K. Simmons (giustamente premiato con l’Oscar), ho sempre trovato un po’ esagerato e quasi grottesco il pathos trasmesso durante gli assoli di batteria…

Smorfie, sudore, perfino sangue… (vedi qui il solo finale del film). Tutte cose che non ho mai minimamente associato a simili performance! La maggior parte della colpa temo sia da attribuire a questo signore: Dave Weckl.

La sua compostezza, seduto dietro alla batteria, è sempre stata una grande lezione, come primo fondamentale insegnamento, forse più della tecnica “pura” nell’uso degli arti e delle bacchette: suonare la batteria è già piuttosto faticoso… Limitare al minimo i movimenti inutili è solo il primo passo per ottimizzare i propri sforzi e tenere, in definitiva, sotto pieno controllo quanto si sta cercando di eseguire. La batteria sembra uno strumento facile: in fondo, se si ha un po’ di senso del ritmo, cosa ci vuole a tenere un tempo in 4/4 su cassa, rullante e charleston?!?!? Più complicato, iniziare a tenere il tempo su mezzi e quarti con la gamba sinistra (per noi destrorsi) sul charleston, base di ogni tecnica Swing, e “liberare” gli arti destri dominanti per altre figurazioni, ad esempio sulla cassa: la ricerca dell’autonomia dei quattro arti è il primo passo per approcciare decorosamente il mood del Jazz e le figurazioni ritmiche dispari.

In questo, Weckl è un vero maestro: la sua indipendenza è sorprendente… Riuscire a coordinare movimenti diversi, a volte anche molto diversi…, con i quattro arti è davvero difficilissimo. Per Dave, è il risultato di tantissimo lavoro e studio individuale, fin da quando era piccolo.

Nato a Saint Louis nel 1960, ha iniziato lo studio della batteria a 8 anni, dedicandosi fin dal liceo al Jazz ed inziando a suonare professionalmente a 16 anni.

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La leggenda narra che, proprio in quegli anni, il giovane Dave inviò un’audiocassetta a Peter Erskine, eccellente batterista jazz e in quel periodo una delle anime dei Weather Report, contenente alcuni esercizi di tecnica: la risposta di Erskine pare essere stata positiva e incoraggiante: “Sei bravo, continua così…”. Per tutta risposta, Dave si sarebbe chiuso in studio per migliorare ancora la propria tecnica e, solo qualche anno dopo, Erskine avrebbe partecipato (da studente…) ai clinics che Weckl ormai teneva regolarmente nelle scuole di Jazz statunitensi.

Leggende a parte, Weckl ha iniziato allora un’incredibile carriera, spaziando dal Jazz alla Fusion, compresa un’importante attività da turnista, soprattutto in studio: ho scoperto, preparando questo contributo, che le batterie di Like a Virgin di Madonna sono proprio sue…

Fondamentale, per Weckl, l’incontro con il grande Chick Corea, di cui è stata l’anima ritmica delle due formazioni storiche degli anni ‘90: la Akoustic Band e la Electric Band, diverse declinazioni del progetto musicale di Corea, sempre accompagnato dalla fidata base ritmica composta da Weckl e John Patitucci al basso e contrabbasso. Ho avuto la fortuna di assistere a un concerto della Electric Band nel ‘92 a Bologna, con Eric Mariental e Frank Gambale a completare la formazione, evento di cui mi sono completamente dimenticato nel preparare i contributi (che ho deciso essere il più possibile cronologici) per Bradipodiario e che, quindi, recupererò nel prossimo anno.

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L’incontro con Dave Weckl è avvenuto a metà degli anni ‘80, grazie all’amico batterista salernitano Germano, con cui per diversi anni ci siamo scambiati audiocassette di jazz fra Bologna e Salerno: una volta funzionava così… E’ stato proprio Germano a farmi conoscere le formazioni di Corea (di cui invito a cercare in rete le esibizioni: posso indicare qui una delle ultime, del 2018, oltre agli altri progetti in cui era coinvolto il nostro Dave, su tutte quello con Michel Camilo, prodigioso pianista dominicano, col quale risulta evidente la capacità di Weckl di accompagnare la ritmica, in questo caso piuttosto complicata, data la sua connotazione latina: paradigmatico questo esempio di un paio di minuti di accompagnamento “ritmico” nel solo.

Non ho, in effetti, raccontato del concerto di Pontassieve…: confesso di non avere ricordi nitidi (scaletta, etc.), ma ho ben impressa nella mente la sensazione di vero e proprio rapimento nel vedere dal vivo, a pochi metri di distanza, un autentico maestro putativo, di cui avevo studiato fill e pattern, nella speranza di potermi timidamente avvicinare a quello stratosferico livello…

Invitando ancora a cercare in rete quanto, ormai, facilmente reperibile, vorrei citare un paio di occasioni interessanti.

La prima che riporta all’immaginario di un altro grandissimo, forse il più grande batterista della storia del Rock: John “Bonzo” Bonham dei Led Zeppelin. Nell’assolo di Moby Dick, che troviamo nel doppio live The Song Remains The Same (qui in un altro live del 1970 alla Royal Albert Hall di Londra), una parte del solo è effettuata senza bacchette, usando le mani direttamente sulle pelli dei tamburi, esattamente come la prima parte del solo di Dave nel link.

La seconda, in occasione del Festival di Sanremo del 2009, giusto come esempio dell’umiltà di un grande musicista che, forse anche solo per “cassetta”, si presta comunque a impreziosire una performance musicale, con grande gusto, misura e mestiere.

Non posso che concludere ringraziando questo fantastico musicista, che ha saputo ispirarmi e costituire sempre un continuo stimolo e un gradino più alto da raggiungere.

Ed essendo sempre un enorme piacere per gli occhi e le orecchie… Appuntamento fra quattro settimane con un nuovo articolo.

Foto: scansione biglietto originale del concerto

Io C’Ero ritorna martedì 23 gennaio

 

4 Comments

  1. Giuseppe Reply

    Ogni strumento ha un suo perchè, ma la batteria per quanto mi riguarda ha una marcia in piú. Non ho mai visto i grandi che hai visto tu Andrea, mi sono dovuto accontentare dei nostrani Walter Calloni, Franz Di Cioccio, Tullio De Piscopo e di Stewart Copeland. W comunque sia per sempre la Batteria!

  2. Andrea Reply

    Caro Giuseppe,
    ne hai citati quattro mica da ridere….! Che apprezzo molto anch’io: Di Cioccio e Calloni per quanto fatto nella PFM, De Piscopo per il fondamentale apporto a tutto il primo periodo di Pino Daniele (e perdonando le uscite commerciali… D’altronde, la pagnotta è importante…), Copeland per essere stato capace di rivoluzionare, con i soli cinque album dei Police a cavallo fra anni ’70 e ’80, la batteria Rock, contaminandola prima di tutti con il Reggae e impreziosendola con una magistrale dinamica, in particolare nell’uso dei piatti.
    Ok, appena possibile faremo insieme un giro in CO7 per un clinic di batteria…

  3. Enea Solinas Reply

    Ho sempre pensato che i timpani avessero una marcia in più. Forse per via del loro glissato.
    Ho sempre pensato che l’arpa avesse una marcia in più probabilmente per via della cascata di note che ne fa per antonomasia un modo di emettere suoni arpeggianti essendo antichissimo strumento. (Raffigurazioni dall’ antico Egitto)
    Ho sempre pensato che il didjeridoo avesse una marcia in più, insieme a certi corni himalayani… Forse per una certa qualità del suono trascendentale.
    Ho sempre pensato che le percussioni autocostruite avessero una marcia in più perché riproducono l’inventiva del riuso e della ritmica di strada
    Ho sempre pensato che la chitarra sarda preparata sia uno strumento unico ed in effetti è solo il suo costruttore e inventore che la sua (lascio a voi scoprire navigando sul web di chi si tratta).
    Ho sempre pensato che avesse ragione John Cage che permetteva concettualmente il vuoto propedeutico all’ ascolto del suono senza intonatura ma grezzo, spontaneo improvviso naturale e credo che sia una marcia in più.
    Ho sempre pensato che il direttore d’orchestra (comprese le swing orchestras) avessero una marcia in più. Da Duke Ellington a Sun Ra, passando per i pinguini con bacchetta sul podio, Von Karajan, Sinopoli, Abbado etc etc
    Ho sempre pensato che la voce umana avesse una marcia in più.

    Ma incomincio ad avere dubbi.
    Forse la musica non basta, in certi casi.

    Forse bisognerebbe parlare di voci, al plurale.
    E di differenze.
    E di dialoghi.

    Ma temo che oggigiorno il chiacchiericcio da una parte, e le voci grosse e prepotenti dall’ altra abbiano un freno che impedisce…

    Basta mi fermo qui.

    Lunga vita alla musica e a tutti gli strumenti.

    La raganella l’ho citata?
    Ha una marcia in più!

  4. Andrea Reply

    Caro Enea,
    grazie per il tuo bel contributo!
    io adoro anche l’ocarina di Budrio, per dire….
    in casa abbiamo: tre batterie, due chitarre acustiche, tre chitarre elettriche e due amplificatori, un piano verticale, un piano digitale, tre ukulele, un basso elettrico e relativo amplificatore, una tromba, un cajon, diverse percussioni, una diamonica/melodica, flauti e kazoo….. forse anche altro….mi sono perso….. 😉
    per noi, la marcia in più si declina in molteplici configurazioni.
    evviva la musica!!!

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