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Epifanie

di Enea Solinas Enea Solinas


Quando le intuizioni proseguono sulla via


Dopo sogni ed incubi, abbandoniamoci alle sorprese che anche lo stato di veglia ci può riservare. Epifanie dello spirito, o dell’immaginazione. Intuizioni che sono come varchi, soglie, porte aperte al divenire in trasformazione.

Non semplici sogni ad occhi aperti, ma visioni che si sovrappongono al reale, aggiungendo a ciò che non esiste – qualcosa che potrebbe diventare. Può capitare anche riflessivamente, ripensando a qualcosa che ci è accaduto, sotto una diversa ottica, relativizzando le emozioni e il sentire del momento pregresso. O prendendo decisioni conseguenti, anche nel non semplice atto di considerare diversamente se stessi.

Può capitare fantasticando, ma senza vagheggiamenti, relativamente alla dimensione della possibilità. Possibilità di intraprendere un cammino, di fare una deviazione, di intervenire sull’esistente, criticarlo, cambiarlo, anche di poco.

Possibilità nell’offrire e nell’offrirsi, immaginando un nucleo di comunanza, un minimo comun denominatore che può fare da base, a quel che in tempi più abitati a considerare le utopie come potenziali sempre possibili (anche se mai totalmente costanti) un sogno collettivo, che si concretizza, lavorandoci su.

Verrebbe da citare un brano del boss, working on a dream. Perché l’immaginazione abbandonata ai flutti, non produce cambiamento, dà solo una vaga sensazione, una vacua seppur non disdicevole epifania. Ma l’intuizione va alimentata e coltivata e bisogna saper attendere e cambiare a seconda degli accidenti, proprio come per un contadino è strettamente legato il raccolto al clima, e alla pazienza e al lavoro speso per quel proposito.

Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un detto. Ed è certamente vero. Ma il vento meglio i venti, sono fenomeni che sorgono nel variare e nello spostarsi d’aria, da regioni con più alta pressione ad altre con meno pressione. Sono cause di forza maggiore. Oggigiorno siam o costretti a confrontarci con questo tipo di predeterminazioni, ma non a ritenere che qualcosa si possa determinare nell’azione, soprattutto se collettiva.

Non sono un esperto in meteorologia, ma certe precipitazioni compromettono il raccolto prima che questo porti i suoi frutti. E capita che qualunque lavoro – detto in senso lato – venga vanificato da un accadimento avverso.

Nonostante ciò si piò osservare anche il disastro – relativo – come un’opportunità per ri-orientare il desiderio e continuare a coltivare progetti e visioni, sulla base di qualcosa che è effettivamente possibile, perché si presenta nello stato attuale con un’ombra, l’eco di una mancanza, che offro lo spunto per coglierne il potenziale.

Ciò che è ora non è stato un tempo, e non è ancora ciò che può diventare.

In queste settimane le cronache ci schiacciano su un clima oppressivo e preoccupante, e abbandonano gli attriti e fervono i dibattiti. Il fenomeno naturale della pandemia è intrinsecamente sociale (dunque economico, e quindi oggetto di interessi particolari) e immaginare un tempo in cui le cronache siano definibili del “dopovirus” è una provocazione intellettuale, la scommessa motivante di questa rubrica. Molte cose sono cambiate forzosamente a causa di questo fenomeno naturale e sociale.

E se c’è da tener presente che il suo aspetto naturale è origine del fenomeno sanitario, la componente sociale (anzi le diverse componenti) si sommano e infittiscono l’intrico del suo dispiegarsi. Si rischia la saturazione, o la bulimia, in un ripetersi di impressioni e reazioni scomposte o abitudinarie, rabbonite e acquietate, senza scarti e scatti d’immaginazione.

C’è una tendenza – e la speranza – al voler prospettare un futuro endemico e non pandemico al virus, alle sue varianti e alla malattia, sminuendone i costi sulla salute pubblica, diminuendo la gravità e la mortalità del contagio.

C’è un usufruire in maniera diversa delle opportunità offerte dalla tecnologia, che già da prima della pandemia era foriera di pregi e difetti, in quanto mezzo – e anche medium – non automatico. Dipende dagli usi che se ne fa. E questo discorso vale anche per la critica e per l’attenzione alle parole. C’è da considerare un’intuizione che è persino quasi predittiva, pertinente a ciò che si avverte ma non si sa dire o non si conosce la certezza del suo influsso. Presentimenti che se diventano ossessivi sfociano nella superstizione, o nella paranoia nella tanto diffusa credenza di teorie complottistiche, che spesso muovono l’agire – e non solo le transitorie opinioni – di non poche persone.

Ma c’è anche un’immaginazione per così dire nostalgica, ma senza dare un’accezione negativa a questa parola a questo sentimento. Per recuperare quelle buone prassi che favoriscono la lievitazione delle idee, o il loro decantarsi, conservando e con resistenza, l’opportunità di costruire qualcosa di nuovo, nuovissimo, anzi di antico.

Forse è nel concentrarsi a questo tipo di epifanie e di visioni semplici a cui si rivolge il mio invito, nate dalla convergenza di differenze apparentemente inconciliabili, ma coscritte in un determinato periodo storico, chiamato attualità. E la possibilità di agire e reagire insieme credendoci, di cambiare in piccolo, non in modo megalomaniaco, la realtà. Attivando comunità, aprendo nuove possibilità di aggregazione in presenza, immaginando intrecci di storie e percorsi, ritrovandosi nella contemplazione del proprio essersi temporaneamente persi. Un “temporaneamente” che può voler significare un bardo… anni, come pochi istanti, poco cambia. Un lasso di tempo che ci riporta in auge e riporta in auge sensazioni pregresse. Come un gioco della memoria, un filo fosforico che intesse una trama nell’oscurità, la delimita, ne costituisce la differenza che la accoglie, segnando un confine. E con questo tratto intendo giocare tra il limite che si crea il non più ormai, e la prospettiva che si delinea offrendo un fine, uno scopo, un obiettivo che è anche un orizzonte, verso il quale puntare lo sguardo, senza soffermarsi a ciò che appare così “reale” nello stato di veglia ma senza far ricorso a diavolerie tecnologiche da realtà aumentata o metaversi, osservando il potenziale mutamento di ciò che è e potrebbe diventare. Bisogna partire dalle cronache per fare Storia. Affinché il passato non sia trascorso invano, e affinché il presente non si cristallizzi in qualcosa di immutabile.

Questo presuppone un avvicinarsi e un dirimere se possibile le contraddizioni esistenti soprattutto là dove sono impedimenti (veri e presunti). I processi – soprattutto in un regime democratico – sono problematici e instabili. E non è la sola economia a fare da motore alla ricerca e al cambiamento, personale e collettivo. Così come non bastano intuizioni e suggerimenti. Che hanno l’inconsistenza di impressioni, suggestioni, echi volatili di altre superstizioni ben più persistenti perché rimandano a ciò cui abitualmente si è soliti credere, o alla propria esperienza vissuta (ma non eterna). Sono un residuo, un resto, una resa. E come tali sono un segno che agisce ben più delle impressioni del momento. Ma noi umani sappiamo sognare anche da svegli, e immaginiamo ciò che ancora non è. Sperando (come augurio per un bene più diffuso e un minor malessere), desiderando, fissando l’orizzonte prospettico e temporale verso il quale tendiamo a partire dal sentire presente.

Le cronache del dopovirus di questo inizio 2022, vogliono essere un invito a dare linfa all’immaginazione, a coltivare le epifanie dello stato di veglia, e a condividerle in una sempre più diffusa, partecipata, alternativa alla noia, alla routine all’assuefazione che lo stato dell’arte attuale pandemico ci tartassa. Basta poco, per far il necessario, ovvero il giusto.

Avrei voluto includere a questo testo un link per un blog personale, aggregato al “fratello maggiore” bradipodiario un re-visione di scritti e memorie pregresse, che diano tempo di sorprendersi di ciò che continua attraversa i cambiamenti e se ne fa portatore volitivo, desiderante.

Perché se è vero che non esiste futuro partendo dalla considerazione del presente, è altrettanto vero che e importante l’importanza dello sguardo sul passato, personale o storico.

Per alcune difficoltà in questo periodo travagliato il blog ancora non è disponibile (non sarà solo un blog d’archivio!)

Ma condivido con voi bradipo-lettori la promessa di aggiungerlo nel prossimo episodio di cronache del dopovirus, sperando davvero che la curva pandemica si sia abbassata e che ci sia un clima meno preoccupante.

Per il momento vi invito a fare buoni propositi e a lasciare libero spazio all’immaginazione condivisa e alla sua possibilità di concretizzazione, che è insita nel lavoro individuale e collettivo.

Buon proseguimento e buon cammino a bradipodiario e alla sua piccola repubblica di lettori anche nel 2022!


Cronache Del Dopo Virus ritorna mercoledì 9 febbraio


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