Una Nuova Guerra Fredda

di Enea Solinas

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1996: otto paesi sul circolo artico hanno dato vita al un Consiglio… per tenere una discussione sull’ambiente…

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Tra tanti teatri di guerra economiche e calde, non sentivamo affatto la nostalgia di teatri di guerra fredda. Ma il surriscaldamento globale, politico guerrafondaio, è implacabile. È l’umanità che perde calore. Preferisco le piccole comunità di prossimità e lotta, che fa attenzione alle periferie del mondo. L’articolo che pongo alla vostra attenzione è tratto dal sito Tricontinental: Institute for Social Research a firma di Vijay Prashad.

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Nel 1996, gli otto paesi sul circolo artico – Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti – hanno dato vita al Consiglio artico, una iniziativa che era partita nel 1989 con l’avvicinamento della Finlandia agli altri paesi per tenere una discussione sull’ambiente artico. L’iniziativa finlandese ha portato alla Dichiarazione di Rovaniemi (1991), che ha istituito la Strategia di Protezione Ambientale dell’Artico: l’organizzazione che ha poi dato vita al consiglio.

La principale preoccupazione per questi governi all’epoca era l’impatto dell’”inquinamento globale e delle conseguenti minacce ambientali” sull’Artico, che stava distruggendo l’ecosistema della regione. C’era poca comprensione della portata e delle implicazioni dello scioglimento della calotta polare (il consenso su questo pericolo è stato amplificato dalla ricerca di scienziati come Xiangdong Zhang e John Walsh nel 2006 e dal quarto rapporto di valutazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici nel 2007). Il mandato del Consiglio artico è stato successivamente ampliato per includere indagini sui cambiamenti climatici e lo sviluppo nella regione.

Più recentemente, alla riunione interministeriale del Consiglio artico del 2021 a Reykjavík (Islanda), la Russia ha assunto la presidenza biennale a rotazione dell’organizzazione. Tuttavia, il 3 marzo 2022 – esattamente una settimana dopo l’invasione russa dell’Ucraina – gli altri membri del consiglio hanno iniziato a boicottare le riunioni in segno di protesta contro il coinvolgimento di Mosca nel gruppo. Nel giugno 2022, questi sette paesi hanno convenuto di “attuare una ripresa limitata dei nostri lavori in seno al Consiglio artico su progetti che non prevedono la partecipazione della Federazione Russa”. In sostanza, è in gioco il futuro del Consiglio.

Tuttavia, le tensioni geopolitiche nell’Artico non sono iniziate l’anno scorso. Hanno covato sotto la cenere per più di un decennio mentre questi otto paesi hanno fatto a gara per il controllo dell’area – non per arginare i pericoli del cambiamento climatico, ma per sfruttare i vasti depositi di minerali, metalli e combustibili fossili che sono presenti all’interno dei 21 milioni di chilometri quadrati del Circolo Polare Artico. Si stima che la regione contenga il 22% del petrolio e del gas naturale non ancora scoperto del mondo (anche se l’estrazione da questa regione rimane costosa). Molto più redditizia è l’estrazione delle terre rare (come il neodimio per condensatori e motori elettrici e il terbio per magneti e laser), il cui valore nell’Artico – da Kvanefjeld in Groenlandia alla penisola russa di Kola al Canada – è stimato in almeno un trilione di dollari. Ogni membro del Consiglio artico sta gareggiando con gli altri per stabilire il controllo su queste preziose risorse, che, fino ad ora, sono state bloccate sotto lo scioglimento dei ghiacci.

Poiché più della metà dell’Artico è costituito da acque internazionali e dalle piattaforme continentali di questi otto paesi (vale a dire, la massa continentale che si estende in acque oceaniche poco profonde), la sua regolamentazione rientra in gran parte nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che è ratificata da 168 stati. Secondo l’UNCLOS, la sovranità di uno Stato costiero si estende al suo mare territoriale, definito come l’area entro 12 miglia nautiche dalla linea di bassa marea della loro costa. Gli Stati hanno anche il diritto di creare una “zona economica esclusiva” entro 200 miglia nautiche da quel livello di bassa marea, dove si trovano molte di queste risorse. Di conseguenza, lo sfruttamento delle risorse dell’Artico è principalmente di competenza degli Stati membri del Consiglio ed è in gran parte al di fuori del controllo multilaterale. Tuttavia, l’UNCLOS limita la sovranità dei singoli Stati dichiarando che i fondali marini profondi sono il “patrimonio comune” dell’umanità e la loro esplorazione e sfruttamento “devono essere effettuati a beneficio dell’umanità nel suo insieme, indipendentemente dalla posizione geografica degli Stati”.

L’ONU ha creato l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) per attuare il trattato UNCLOS. A Kingston (Giamaica), la commissione legale e tecnica dell’ISA sta sviluppando un codice minerario per regolare l’esplorazione e lo sfruttamento dell’area internazionale dei fondali marini. Vale la pena notare che un quinto dei membri della commissione proviene da aziende minerarie. Mentre non vi è alcuna possibilità di attuare una moratoria globale sull’estrazione mineraria in alto mare – anche nell’Artico, nonostante il Trattato Antartico del 1959 vieti effettivamente l’estrazione mineraria in quel continente – un codice minerario che favorisca le aziende minerarie non solo aumenterà lo sfruttamento, ma aumenterà anche la concorrenza e il rischio di conflitto tra le grandi potenze. Questa competizione ha già intensificato la nuova guerra fredda tra gli Stati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) – guidati dagli Stati Uniti – e paesi come la Cina e la Russia e ha portato alla rapida militarizzazione dell’Artico.

Ogni membro del Consiglio Artico ha già creato basi militari sul bordo artico, con la corsa per dominare la regione che ha accelerato dopo il 2007, quando gli scienziati russi hanno simbolicamente posto una bandiera di titanio sul fondo marino artico, 4.302 metri sotto il Polo Nord. Artur Chilingarov, l’esploratore russo che ha guidato questa spedizione geografica, ha affermato di essere motivato dalla scienza e dalla preoccupazione per il cambiamento climatico e che “l’Artico deve essere protetto non a parole, ma nei fatti”. Tuttavia, la spedizione geologica russa è stata usata come pretesto per espandere la militarizzazione nella regione. Per decenni, gli Stati Uniti hanno avuto una presenza militare in profondità all’interno del Circolo Polare Artico, la base aerea di Thule in Groenlandia, che si è sviluppata nel 1950 dopo che la Danimarca – la potenza colonizzatrice della Groenlandia – ha aderito alla NATO. Anche altri paesi costieri artici hanno da tempo forze militari che attraversano il ghiaccio e le nevi del nord, una presenza che è cresciuta negli ultimi anni. Il Canada, ad esempio, sta costruendo la struttura navale di Nanisivik sull’isola di Baffin, nel Nunavut, con l’obiettivo di renderla operativa nel 2023. Nel frattempo, negli ultimi dieci anni, la Russia ha rinnovato la base aerea di Nagurskoye ad Alexandra Land e la base aerea di Temp sull’isola di Kotelny.

Il Consiglio artico è stata una delle poche istituzioni multilaterali a facilitare la comunicazione tra le potenze della regione. Ora, sette di loro hanno deciso di non partecipare più, e cinque di questi (Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia e Stati Uniti) fanno già parte della NATO, mentre i restanti due (Finlandia e Svezia) sono stati inseriti rapidamente nell’organizzazione. Sempre più spesso, la NATO sta sostituendo il Consiglio Artico come autorità decisionale nella regione, con le sue operazioni basate sul Centro di eccellenza per le operazioni a freddo in Norvegia. Dal 2006, questo hub ospita alleati e partner della NATO per esercitazioni militari biennali nell’Artico chiamate Cold Response.

Nel maggio 2019, il segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recato alla riunione del Consiglio artico a Rovaniemi (Finlandia) e ha accusato la Cina di essere responsabile della distruzione ambientale nell’Artico. Sebbene la Cina abbia lanciato un progetto di Via della Seta Polare, non ci sono prove reali che la essa abbia svolto un ruolo particolarmente deleterio nelle rotte marittime settentrionali. Questo commento ostile nei confronti della Cina e sentimenti simili sul ruolo della Russia nell’Artico fanno parte della battaglia ideologica per giustificare la Nuova Guerra Fredda. Meno di un mese dopo il discorso di Pompeo, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha pubblicato la sua “strategia artica (2019), che si è concentrata sulla “limitazione della capacità di Cina e Russia di sfruttare la regione come corridoio per la concorrenza” (uno stato d’animo ripetuto nella Strategia Artica 2020 dell’aeronautica militare statunitense).

Nell’ottobre 2022, Reykjavík ha ospitato il suo incontro annuale del Circolo Polare Artico, a cui hanno partecipato tutte le principali potenze, tranne la Russia, che non è stata invitata. L’ex presidente islandese Ólafur Ragnar Grímsson, coinvolto nello scandalo di corruzione dei Panama Papers del 2016, ha presieduto il discorso di apertura tenuto dall’ammiraglio olandese Rob Bauer, presidente del Comitato militare della NATO. Bauer ha affermato che la NATO deve avere una presenza più muscolare nell’Artico per controllare la Russia e la Cina, che ha definito “un altro regime autoritario che non condivide i nostri valori e mina l’ordine internazionale basato sulle regole”. La Via della Seta Polare cinese, ha detto l’ammiraglio Bauer, è semplicemente uno scudo dietro il quale “le formazioni navali cinesi potrebbero spostarsi più rapidamente dal Pacifico all’Atlantico e i sottomarini potrebbero ripararsi nell’Artico”.

Durante la discussione, l’ambasciatore cinese in Islanda, He Rulong, si è alzato dal suo posto per dire all’ammiraglio della NATO: “Il tuo discorso e la tua osservazione sono pieni di arroganza e anche paranoici. La regione artica è un’area di alta cooperazione e basso confronto… L’Artico gioca un ruolo importante quando si tratta di cambiamenti climatici… Ogni paese dovrebbe essere parte di questo processo”. La Cina, ha continuato, non dovrebbe essere “isolata [dalla] cooperazione”. Grímsson ha chiuso la sessione dopo l’intervento di He lasciando spazio una risata sommessa nella sala.

Le grandi assenti dalla maggior parte di queste discussioni sono le comunità indigene che vivono nell’Artico: gli Aleuti e gli Yupik (Stati Uniti); gli Inuit (Canada, Groenlandia e Stati Uniti); Chukchi, Evenk, Khanty, Nenets e Sakha (Russia); e i Sami (Finlandia, Norvegia, Russia e Svezia). Sebbene queste comunità siano rappresentate da sei organizzazioni del Consiglio artico – l’Associazione Internazionale Aleut, il Consiglio Athabaskan Artico, il Consiglio Gwich’in, il Consiglio Circumpolare Inuit e l’Associazione Russa degli Indigeni del Nord e il Consiglio Sami – le loro voci sono state ulteriormente messe a tacere durante l’intensificarsi del conflitto.

Questo silenzio delle voci indigene mi ricorda Nils-Aslak Valkeapää (1943-2001), il grande artista saami, la cui poesia vibra come il suono del vento:

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Riesci a sentire i suoni della vita
nel ruggito del torrente
nel soffio del vento?

Questo è tutto quello che voglio dire
Questo è tutto.

Con affetto,
Vijay

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Immagine: Spiridonov Yuri Vasilyevich (Sakha), Landlord of the Moma Mountains, 2006

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La Bradipo Notizia ritorna domenica 29 gennaio

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