L’Ultimo Genio
Della Serie A

di Joshua Evangelista

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Articolo pubblicato il 4 febbraio 2023 e scelto dall’autore per la riproposta estiva

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Del perché è impossibile non innamorarsi del professor Ilicic

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La Serie A è sempre più noiosa, piatta, periferica rispetto al calcio che conta. Lo si evince dai bilanci dei club, dallo stato penoso in cui versano i nostri stadi e, soprattutto, dal livello del calcio in campo. Lento, iper-tattico, nevrotico, pieno di interruzioni, falli strategici, proteste con gli arbitri. In questo grigiore c’era, fino a poco tempo fa, un calciatore che riusciva a far brillare gli sguardi di tutti quelli che lo vedevano giocare. Si chiama Josip Ilicic.
 
Classe 1988, Ilicic è un giocatore innaturale: un fisico da panzer (190 cm per 79 kg, variabili), veloce nelle ripartenze, dribbling alla Roberto Baggio, esplosivo nei tiri dalla distanza, piede mancino raffinato alla Messi (con tutti i distinguo del caso). Genio nelle giocate, estremamente incostante, nelle sue stagioni italiane (Palermo, Fiorentina e soprattutto Atalanta) è stato capace di alternare partite in cui passeggiava in campo come se stesse cacciando farfalle ad altre in cui sfornava assist e gol da cineteca. Molti ricordano i 4 gol al Mestalla di Valencia in Champions League nel 2020: aveva 32 anni, ballava in campo come Zidane ed era entrato negli annali come calciatore più anziano ad aver segnato più di tre gol in una sola partita di Coppa Campioni. Quell’Atalanta era ricamata per lui. E lui, in alcune partite, meritava il Pallone d’Oro.
 

Poi la pandemia, l’isolamento, la preoccupazione di vivere la morte da vicino nella “sua” Bergamo, epicentro di quel male così letale eppure intangibile. Quando il campionato è ripartito, di Josip si è perso traccia. Quattro mesi di silenzio assoluto, nessuno sapeva dove fosse, massimo riserbo dalla società. Finché il Papu Gomez, che allora era il capitano dell’Atalanta nonché suo partner in attacco, ha spiegato a una tv argentina che Ilicic aveva preso il covid ed era caduto in depressione.

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Josip torna in campo il 17 ottobre dello stesso anno, è decisamente fuori forma. A inizio 2022 esce la notizia che Ilicic sta nuovamente combattendo con la depressione. “La nostra testa è una giungla”, dice il suo allenatore Gasperini. Di lì a poco Josip rescinde il contratto con la dea per accasarsi al Maribor, in Slovenia, dove è iniziata la sua carriera. 
 

Sono molto affezionato a Ilicic, per come calcia, per come sa spezzare il campo e far ripartire l’azione in un nanosecondo, per come sorride, per come appare un gigante buono con l’innaturale tocco fatato di un brevilineo. Pensavo a lui qualche giorno fa e poi mi è passato sotto mano un post su Facebook in cui una tifosa dell’Atalanta ha raccontato un gesto di tenerezza di Josip verso suo figlio. In realtà il web è pieno di queste testimonianze: Josip che regala la sua maglia, Josip sempre cordiale con i tifosi, Josip sempre propenso alla beneficienza, soprattutto verso i bambini.

Ho sempre provato fastidio nei confronti del modo in cui i media hanno trattato la sua malattia, l’ossessione di trovare meccanismi certi che spieghino perché un campione che ha soldi, talento e affetto possa cadere in depressione. Ho evitato per mesi gli articoli in cui si parlava di lui. Preferivo tenermi il campione capace di fare con la palla quelle cose che fanno innamorare i bambini, nonostante la tattica, la noia e la tossicità del nostro campionato.

 

Ilicic fa parte della grande scuola dei trequartisti balcanici: Boban, Savicevic, Modric, Prosinecki… la lista è infinita. Come molti di loro ha subito la guerra: nato nella città bosniaca a maggioranza serba di Prijedor, la sua famiglia è croata. Nel 1989, quando aveva un anno, suo padre è stato ucciso da un vicino di casa serbo. Quindi Josip e famiglia hanno vissuto da profughi in Slovenia prima di prenderne la cittadinanza. Non mi piacciono i sillogismi facili, non mi piacciono le banalità sulla correlazione tra guerra e depressione. Qui, dove siamo bradipi e quindi pensiamo lentamente senza l’ansia di arrivare alle conclusioni, ci limitiamo a goderci il suo talento e la sua simpatia.

 

C’è un bel pezzo di Emanuele Atturo pubblicato dall’Ultimo Uomo in cui si dice che Ilicic è uno che “surfa sul disordine”. Lo chiamano il “professore”, ma, come scrive Atturo, “il personalissimo modo in cui è stato in campo e ha interpretato il ruolo di calciatore, in definitiva la sua arte, è davvero qualcosa che si insegna?”
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Marcatura a Uomo ritorna a ottobre
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5 Comments

  1. Maurizio Setaro Reply

    Bellissimo articolo, nn sapevo della brutta storia di Ilicic, la depressione è una brutta malattia.

  2. Laura Martini Reply

    Bravo condivido ogni singola parola e riflessione …sicuramente un grande uomo di sport hai fatto bene a scrivere di lui sará sempre più difficile trovare altri esempi simili nel calcio odierno

  3. Enea Solinas Reply

    Recupero a distanza di tempo questa storia misconosciuta. Grazie Joshua per questo sguardo attento a ciò che merita e resta fuori dai riflettori, ce ne fossero di rubriche sul calcio come questa!

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