Scacco Matto

L’alfiere poteva essere Lancillotto e il re poteva essere Artù. La donna inspiegabilmente era la più potente…

di Umberto Scopa Piccolo Inventario Sentimentale Degli Oggetti

La vecchia scacchiera in legno è leggermente incurvata dal tempo. I pezzi ci sono ancora tutti, a parte un pedone disertore che non si trova più e deve essere sostituito all’occorrenza da qualcosa che gli somigli, come nella mia foto. Nelle forme dei pezzi degli scacchi c’è un’eleganza antica. Possono rimanere anche lì fermi in bella vista schierati sulle caselle di partenza come statue greche. Poi quando si muovono la quiete è risucchiata da un groviglio di futuri possibili, che si ripetono sempre simili; mai uguali però, ogni volta che il gioco ricomincia.

Alcuni pezzi sono ammaccati. Bisogna riportare l’orologio molto indietro nel tempo per questo. Da bambini per noi quei pezzi erano eserciti e la guerra non aveva regole. Poteva arrivare un bombardamento aereo o un duello corpo a corpo. Potevano irrompere i soldatini, sotto forma di indiani Sioux o i carabinieri a cavallo e arrestare un pedone. L’alfiere poteva essere Lancillotto e il re poteva essere Artù. La regina inspiegabilmente era la più temuta e questo un po’ ci stupiva; non avevamo riferimenti alla realtà per questo, a parte forse la regina di Biancaneve. Il cavallo poi era sempre il più affascinante. Combatteva da solo senza un cavaliere in groppa! E poi le torri. Apparivano e sparivano in un altro luogo. Sembrava di essere nel signore degli anelli o giù di lì.

Poi col tempo si impara ad usare i pezzi in modo più convenzionale, ma qualcosa rimane della brutalità infantile. Le esequie del vecchio re per esempio. Erano sempre crudeli. Un rumore secco e l’impatto sulla scacchiera. Prima ancora di imparare a giocare a scacchi mi avevano insegnato questo rito brutale del vincitore. Un colpo al re avversario come se fosse una biglia e quello rotola sulla scacchiera con un ciocco secco di legno su legno. Per guadagnarmi questo diritto occorreva però aver inferto un attimo prima lo scacco matto. Per anni mi sono arrovellato per capire cosa aveva di matto quel re sconfitto… forse che la sconfitta conduceva alla pazzia? Poi un giorno ho letto che “matto” era una contrazione di “matato” dallo spagnolo, come si usa dire nelle corride. Il re disteso orizzontale non ha sofferto e non ha più pensieri, ma la mente del giocatore che lo ha mosso per l’ultima volta è condannata a sopravvivergli ed ereditare la sconfitta. La sorte, la fortuna, la scusante, non è di casa negli scacchi. La prigionia mentale che vive lo scacchista quando vede la morsa della sconfitta cingersi inesorabilmente attorno a lui è asfissiante, unica. Lo scacchista è immobile sulla sedia, l’energia fisica è compressa.

Il grande ex campione del mondo Kasparov dichiarò che gli scacchi sono lo sport più violento che esiste. Quando fu organizzata la sfida epocale tra lui e un computer nel 1997 disse “difenderò la razza umana”. Nel 1997 la sfida finì in pareggio. La razza umana si salvò, ma capì di aver creato un mostro che non era in grado di sottomettere. E forse lo aveva capito anche il computer Joshua del film “War games” quando nella frase finale così si rivolge al protagonista: “..che ne dice di una bella partita a scacchi?”.

⇒ Foto: Umberto Scopa ≈ Prossimo Appuntamento: 15 Gennaio

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