Rischiare La Vita
Per Una Bicicletta

di Guido Bigotti bikeitalia.it

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Quando i partigiani sequestrarono le biciclette agli operai della Fuchs del Giambellino a Milano


Nelle pagine del diario di questo mese voglio lasciare spazio ad un racconto di tanti anni fa, che riguarda la zona di Milano dove abito, al tempo ricca di fabbriche ed industrie, che ha vissuto da protagonista negli anni bui della guerra e della ribellione popolare verso l’invasore…

Era la mattina del 23 marzo 1943, improvvisamente alla fabbrica di biciclette Fuchs del Giambellino irruppero tre, quattro, dieci giovani. Difficile adesso, dire quanti fossero di preciso.

La nota stilata dal comandante non ne fa cenno. Dice solo che c’erano partigiani della brigata 116, della 117 e anche un rappresentante della 118. Per le azioni di guerriglia urbana le biciclette erano indispensabili e le biciclette scarseggiavano. Non solo, spesso, anche quando c’erano, erano difettose alle camere d’aria e ai copertoni.

Ecco perché, quella mattina venne deciso di andarle a prendere nella fabbrica che le produceva.

Vi propongo due testimonianze tratte dalla documentazione in possesso della sezione Anpi Giambellino – Lorenteggio di Milano:

Sergio Aiolfi, uno dei partigiani… “Le biciclette? La nostra arma migliore”

Perché andammo a sequestrare le biciclette alla Fuchs del Giambellino? Ma è semplice. Perché la bicicletta era la nostra arma migliore. Chi si muoveva velocemente aveva bisogno di un mezzo e il solo mezzo di cui allora potevamo disporre era la bicicletta.  Alla Fuchs quel 22 marzo eravamo in diversi, forse sette o otto. Non ricordo bene. Partigiani delle brigate Garibaldi 117 e 116. Io facevo parte della 116.

Ci trovammo all’appuntamento di buon mattino. Entrammo in fabbrica bloccando ogni uscita. Ricordo di aver staccato subito il telefono. Furono sequestrate un certo numero di biciclette (seppi poi che erano 12) e camere d’aria e copertoni. Allora disporre di una camera d’aria e di un copertone di ricambio era difficilissimo; a volte legavamo con delle bande di cotone i copertoni troppo logori. Nel grande capannone improvvisammo anche un comizio invitando le operaie e gli operai a ribellarsi. Fu una giornata indimenticabile. Se ho avuto paura? Si, certo. Guai a non averne. L’importante è superare la paura. Per farlo ci vogliono buone ragioni. Noi allora ne avevamo”.

Dorina Vismara: “Quella delle trecce”

Ero in collegamento con i partigiani che mi chiamavano “quella delle trecce” perché nessuno doveva sapere i nostri nomi. Ci accordammo che un gruppo di partigiani sarebbe venuto a prendere le biciclette. Io stavo imballando, perché questo era il mio lavoro, nove bellissime biciclette destinate ai tedeschi. Improvvisamente entrano i partigiani e la moglie del proprietario, il famoso Giovanni Tapella, esce da una porta laterale e si precipita a chiamare i fascisti.

Questi arrivano immediatamente e alcuni partigiani riescono ad inforcare le biciclette e a scappare; uno di loro ha qualche noia con la sella.

Vedendosi alle spalle i tedeschi, corre verso il Naviglio, si toglie l’impermeabile e si butta. Arrivano i fascisti, sparano all’impermeabile nell’acqua, certi di averlo ucciso. Il partigiano esce dall’acqua, chiama aiuto e subito la gente porta vestiti per rivestirlo.

La moglie del padrone non ha più avuto il coraggio di farsi vedere in fabbrica. Io allora avevo 45 anni, sono rimasta “quella delle trecce” e ho continuato a collaborare con i partigiani fino alla vittoria”.


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10 Comments

  1. Alberto Reply

    Grazie Guido per queste testimonianze..per non dimenticare i sacrifici di chi ha rischiato la vita per la libertà.

  2. Maria Rita Reply

    Interessante questo pezzo di storia successo più di mezzo secolo fa… a due passi da casa mia. Grazie Guido …

  3. Stefano Reply

    Sempre interessanti e descritti in modo accurati i tuoi racconti . Questo in particolare fa parte della storia e non deve essere dimenticato .Bravo Guido

  4. Andrea Bertini Reply

    Bellissime e interessanti le storie che ci racconti sempre , ,camera d’aria copertoni ,averli di riserva era difficilissimo ,se penso alle biciclette di ora . Grazie Guido continua raccontarci queste storie.

  5. Sergio Reply

    Bel racconto, testimonianze che fanno bene e ci riportano a quando si stava meglio quando si stava peggio, mio padre lo ripeteva sempre.

  6. Susanna Reply

    Bello anche pensare a quando certe zone di Milano, come il Giambellino, ma anche quella in cui abito io – Gorla-, erano ricche di queste piccole realtà produttive operaie o agricole (cascine), che formavano un tessuto sociale fatto di lavoro e di solidarietà. Grazie Guido, che ci racconti sempre storie di bellezza e di speranza, anche se spesso piene di difficoltà.

  7. Vanda Reply

    Caro Guido, finalmente sono riuscita ora a leggere il tuo scritto.
    Anche se ho una certa età non ho vissuto quei momenti così difficili , quindi per me è molto interessante leggere queste pagine che servono anche per acquisire una certa cultura
    Bravo e…. Alla prossima. Un abbraccio

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