Pescara Vs Reggina

di Joshua Evangelista sky.sport.it


Quando una partita decreta il successo o il fallimento, il ricordo o l’oblio


In questa piccola rubrica di sport sovente cerchiamo storie di sconfitte. Le sentiamo più vicine a noi. Nella storia calcistica della mia città, Pescara, le storie di sconfitte sono così tante che c’è l’imbarazzo della scelta. Le vittorie sono poche e rintracciabili, legate quasi unicamente ai Pescara di Galeone a quello di Zeman, che regalò all’Italia campione di Wembley ben tre titolari: Verratti, Immobile e Insigne. Una squadra bellissima, strabordante, sulla quale nel futuro torneremo.

Ma quella di cui voglio parlarvi oggi è un Pescara sconfitto, che arrivò a un solo punto dalla Serie A. La stagione è quella del 98-99. Il campionato lo vincerà il Verona di un certo Prandelli in panca, già allora evidente predestinato. La classifica finale recitava: Verona 66, Torino 65, Lecce e Reggina 64, Pescara 63. Ovviamente salivano le prime quattro, altro che play-off.

Ad allenare il Pescara, dalla terza di campionato dopo un inizio disastroso, il materano Gigi De Canio. Non spettacolare ed estremo come Zeman, eppure anche De Canio sapeva divertire: palla a terra, fraseggi, dribbling, tanti tiri in porta. Alcune partite le ricordo benissimo: 5-1 alla Ternana, 5-1 al Cosenza in trasferta, 4-1 al Genoa e la vittoria per 2-1 contro la corazzata del Torino di un certo Ferrante.

Pochi giocatori di quel Pescara, anzianotto con l’aggiunta di qualche giovane di bella speranza, fecero grandi carriera. C’era Mauro Eposito, allora 19enne, bomber per caso poi finito all’Udinese. Poi Michele Gelsi, capitano gregario amatissimo dalla curva, capace di segnare da mediano ben 13 gol. E poi c’era un certo Max Allegri, livornese. Sì, proprio lui. L’attuale tecnico della Juve, uno dei più vincenti (e più noiosi, fatemelo dire da tifoso) allenatori maneggiati dagli Agnelli. Un gran trequartista, forse il più talentuoso centrocampista di quella serie B, che però non fece una grande annata. Come disse lui stesso qualche anno fa, “avessi avuto la testa che ho ora forse sarei arrivato in Nazionale!” Noi lo ricordiamo con nostalgia, lui oggi si auto-definisce come “un giocatore mediocre e senza rimpianti”. Qualche partitella la giocò anche Davide Nicola di Luserna, anche lui oggi brillante allenatore, seppur molto meno fortunato di Allegri.

Ad ogni modo, fino alla terzultima di campionato eravamo in Serie A. Poi arrivò la Reggina. 

30 maggio 1999. Pescara-Reggina, ventimila persone all’Adriatico di cui 500 venuti da Reggio Calabria. I miei nonni vivono esattamente di fronte allo stadio. Fino agli anni ’50 la zona dell’Adriatico era un’enorme palude con alcune fattorie, tra cui quella della mia famiglia materna. Come in tante altre parti d’Italia, il boom economico aveva portato alla grande speculazione legata all’edilizia civile. Case e casolari distrutti per costruire i palazzi, in cambio alcuni appartamenti come bonus per il disturbo. Ai miei nonni capita un appartamento all’interno di una palazzina di fronte allo stadio. Vivono lì, dicevamo. Secondo piano. Abbastanza in alto per vedere il mare di tifosi che supera l’antistadio per entrare negli spalti, troppo in basso per vedere il campo. E infatti di quella partita ho solo un ricordo sonoro, legato a tre momenti:

         1. Imprecazioni. Il fino ad allora precisissimo Gelsi nel primo tempo butta al lato un rigore.

         2. Urla reggine. Yuri Cannarsa, un ventenne che ha studiato nel mio liceo, deposita alle spalle del nostro (e suo) portiere un cross innocuo di Ciccio Cozza. 0-1.

3. Silenzio improvviso. È quasi la fine della partita, con il Delfino tutto in avanti l’amaranto Possanzini firma lo 0-2 in contropiede.

A Reggio fanno festa in 100mila. Il Pescara vincerà le ultime due con altre avversarie dirette, il Lecce e il Brescia. Ma non basterà. Quella Reggina entrerà nella storia, come la prima a calcare la Serie A. Poi svezzerà un certo Pirlo e sarà per tanti anni una delle squadre più solide del Sud.

Al contrario, di quel Pescara, non si ricorda più nessuno. O forse qualcuno sì. Sono incappato per caso, su YouTube, in una diretta organizzata, in pieno lockdown, da una televisione locale abruzzese. Avevano invitato alcuni reduci di quell’annata del Pescara. Mister De Canio, Paolo Rachini, Mauro Esposito e Michele Gelsi. Hanno ricordato l’evolversi della stagione, dalla sfiducia totale iniziale all’entusiasmo cresciuto partita dopo partita. Una polveriera nello spogliatoio che in pochi mesi si era trasformato in un gruppo di cemento. Dove tutti sapevano quello che dovevano fare e lo facevano divertendosi. E poi quella partita stregata, che ha cambiato per sempre le loro vite. Finita quella stagione, Esposito e De Canio sono andati in A, a Udine, Gelsi ha smesso di far gol, Allegri ha proseguito nella sua carriera di talento sprecato, prima di riemergere come allenatore. Una bella storia di sconfitta, di quelle che piacciono a noi.


 Marcatura A Uomo ritorna martedì 19 aprile


Sostieni le nostre attività, clicca sull’immagine

3 Comments

  1. Enea Solinas Reply

    Racconti come questo riconciliano con lo sport, affossato da interessi e ben diverse e sovraesposte (o al contrario nascoste) “partite”. E ci ricordano che per quanto amare sono più preziose le sconfitte sincere che le vittorie immeritate e false.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *