Orfani Bianchi

Antonio Manzini è probabilmente conosciuto dalla maggior parte dei lettori come il creatore di una serie di romanzi, editi da Sellerio, che hanno per protagonista Rocco Schiavone. Aggiungo un “giustamente”, perché la figura del vicequestore romano, trapiantato suo malgrado ad Aosta, è una delle figure più ricche, intense, contraddittorie e sfaccettate del noir all’italiana. Tanto di cappello al suo inventore per averci regalato ore di diletto con cotanto personaggio. Non è di lui, però, che voglio parlarvi oggi.
Nella produzione di Manzini spicca un romanzo che esula dall’ambito poliziesco, “Orfani bianchi”, edito da Chiarelettere. Lo scrittore stesso ci indica con le sue parole dove nasce lo spunto per la narrazione: “Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania. E mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?”. Quanto sono diventate radicate nelle nostre società queste figure femminili, donne che abbandonano i propri cari per prendersi cura di persone estranee? Talmente tanto da diventare spesso invisibili, a noi e prima di tutto a sé stesse, costrette a sacrificare il presente in nome di un futuro che non sanno neppure se riusciranno a vivere appieno, costrette a dimenticare i propri drammi per immergersi nei drammi di famiglie estranee.
Ci ritroviamo immersi nella storia di Mirta Mitea, di origine moldava, che ha lasciato il proprio paese e tutto ciò che ha di più caro nella speranza di regalare un futuro migliore all’adorato figlio Ilie. Al figlio lontano Mirta racconta com’è la vita nel nuovo paese, le difficoltà, la fatica di ritrovarsi pigiati in troppi in appartamenti minuscoli, il bisogno che spinge ad accettare i lavori più umilianti pur di sbarcare il lunario, ma anche la serenità al pensiero che tutto ciò le consente di poter inviare denaro prezioso in patria. Alla figura di Mirta fanno da contraltare le donne che assiste, Olivia prima ed Eleonora poi, donne arrivate malate ed inferme al capolinea della vita, la cui vita frenetica dei figli impedisce loro di accudirle. Anche di loro scrive Mirta al figlio, dei loro corpi immobilizzati a letto, dei loro dispetti di fronte alla prospettiva di esser accudite da mani estranee e non dai figli che hanno messo al mondo, delle loro solitudini, di case troppo grandi e troppo vuote di risate e di affetti.
Questa incrollabile certezza, di lavorare per il benessere dei propri cari, la sorregge anche alla notizia della morte dell’anziana madre e davanti alla prospettiva di mandare Ilie a vivere in un internat, un orfanotrofio. Strutture che accolgono sì chi è rimasto senza genitori, e pure gli orfani bianchi del titolo, bambini e ragazzi che i genitori li hanno ancora, ma che vivono all’estero per lavoro. Non smette mai Mirta di scrivere al figlio, attendendone sempre una risposta che mai arriva a colmare la distanza tra di loro. Non smette mai, come se solo le parole inviate lontano potessero colmare il vuoto delle carezze e degli abbracci non dati, il conto dei giorni trascorsi lontano che si sommano inesorabili uno dopo l’altro.
Si tratta di un romanzo, ma quanto vicino alla realtà dei nostri giorni e delle nostre società! Con una scrittura asciutta ed essenziale Manzini ricostruisce il dramma di tante, troppe donne costrette a una vita di sacrifici, che ipotecano la loro vita presente e spesso anche il loro futuro in nome del presunto benessere dei propri cari in una patria lontana. Quanto spesso si danno per scontate queste donne e i sacrifici che affrontano quotidianamente! Forse, dopo la lettura di questo romanzo, accadrà un po’ di meno.

SARA MIGLIORINI

Foto: Sara Migliorini

Il Bradipo Legge ritorna lunedì 20 maggio

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