Non Solo Parole

Parole che bussano alla porta, e che ti chiedono di essere accolte, andando a fondo per comprenderne il loro vero significato.

di Giuseppe Rissone Piccole Storie Quotidiane

Le mie ultime settimane sono state segnate da alcune parole: amore, felicità, onestà, parità. Alcune sono entrate nella mia vita quotidiana in punta di piedi e portandomi un sorriso, altre colpendomi direttamente allo stomaco, non per farmi male, ma per farmene apprendere alcuni aspetti. Siamo sicuri che quando pronunciamo e pensiamo a determinate parole siamo in grado di comprenderne esattamente il significato? Provo ad offrirvi un viaggio nelle parole che mi hanno fatto visita, andiamo a cominciar…

Che cosa s’intende per amore? La prima cosa che la nostra mente ci porta a pensare è coppia, di conseguenza amore è uguale a due persone che si vogliono bene, che vivono un’attrazione sia fisica che mentale. Siamo sicuri che questa sia l’unica risposta? Ho la sensazione che non sia così. Preferisco fare un salto nell’antica Grecia per comprendere meglio, qui sono state individuate quattro forme primarie di amore: quello parentale-familiare (storge), l’amicizia (philia), il desiderio erotico ma anche romantico (eros), infine l’amore più prettamente spirituale (agape).

Inizio a vederci più chiaro, amore per un genitore/figlio, amore per un amico, amore fisico per un’altra persona, amore spirituale, e aggiungo amore per un’idea, per un luogo, per una attività. Come immaginavo l’amore può essere declinato in diversi modi, non esiste un’unica strada.

Vi chiederete, forse, del perché ho iniziato dalla parola amore, viviamo un periodo dove esprimerlo, fisicamente ma non solo, risulta alquanto complicato, in futuro questa mancanza si farà sentire in maniera pesante, su una società che ha già da molto tempo messo un po’ nell’angolo l’amore. Quindi parlare d’amore in tutte le sue forme mi sembra doveroso, conscio che non è facile, non è semplice.

Non con qualche sorpresa – qui si aprirebbe un lungo dibattito – ho avuto modo di seguire su mamma RAI, e precisamente su RAIUNO, non una fiction – che brutto termine – ma un film di lunga durata, interpretazione data dalla stessa protagonista, l’attrice Greta Scarano, che insieme a Stefano Liberati, Claudia Pandolfi e il piccolo Federico Ielapi compongono il cast di Chiamami ancora amore, che senza paura racconta – senza retorica o fronzoli – la sofferenza, talvolta brutale, di un amore che va in frantumi, il fardello sempre più pesante delle rinunce e la complessità dell’essere madri. Pregevole – era ora – il ruolo dell’assistente sociale finalmente per quello che è o dovrebbe essere, un’accompagnatrice nelle situazioni difficili, e non quella cattiva, che porta via i bambini. Un lungo racconto dove le declinazioni dell’amore sopra descritte, sono tutte rappresentate, senza stereotipi, come nella vita di tutti i giorni. La parola amore è entrata nelle mie giornate con la televisione, e concludo con una curiosità, eravate a conoscenza che questo termine entra nella lingua italiana a partire solo dal XIII secolo, quindi usiamo questa parola solo da ottocento anni, rimane la curiosità – non ho trovato nulla di convincente – su qual era la parola in precedenza usata per indicare questo sentimento. Se volete aiutarmi lasciate un commento.

L’altra parola che è entrata nella mia quotidianità nelle ultime settimane è onestà, intesa come integrità morale, che si traduce o si manifesta in un comportamento improntato che va dalla correttezza alla virtù. La storia che mi è stata raccontata, ha qualcosa di incredibile, omettendone i particolari e i luoghi, posso dirvi che la protagonista si è trovata nella condizione di ricevere, con estrema sorpresa, un vantaggio, un salto la coda, la reazione immediata è stata quella di rifiutare questo privilegio, ricevendo come risposta: quanta onestà. Quasi come se essere onesti fosse un difetto, come se farne una propria prerogativa fosse una stupidità. Essere sinceri, leali in base ai propri principi dovrebbe essere riconosciuto come una qualità e non denigrata, e non giudicata come una cosa da fessi. Sono convinto che essere onesti, in particolare con sé stessi, aiuta; aiuta anche sentirsi raccontare storie come quella sopra brevemente descritta. Onestà fa il paio con coerenza, è palese che non è semplice mettere insieme questi comportamenti, però allo stesso tempo fanno di una persona la differenza che c’è tra il riconoscimento di far parte di una comunità e non di egoismi e interessi personali.

La filosofa Francesca Rigotti nel libro Onestà, edito da Cortina, sottolinea la diversa quantità di significati che il termine possiede. Il primato, riconosciuto da decenni, del denaro ha infatti ridotto l’onestà a una categoria dentro la quale rientrano quelli che non rubano, non frodano, non corrompono. Non è così. L’orizzonte dell’onestà si allarga a fisarmonica in una parte integrante del nostro carattere, nelle intenzioni e nelle disposizioni dei nostri comportamenti, nella stessa fisionomia dell’uomo.

La reazione davanti a una proposta poco onesta che mi è stata raccontata, è una goccia in una marea di disonestà – in un paese dove non tutti pagano le tasse, dove truccare appalti è uno sport molto diffuso – allo stesso tempo è un segno che non tutti sono pronti a prendere quello che non gli spetta.

Sono giunto alla terza parola di questo viaggio, parità, ed in particolare parità di genere, che non intendo affatto disconoscere, ma la discussione che ne è nata dopo che una giornalista ha rifiutato di partecipare ad un programma televisivo in quanto il sesso femminile non era sufficientemente rappresentato, mi ha fatto pensare che qualcosa non quadra. Se la parità di genere – che dovrebbe essere garantita per quanto riguarda i salari, l’accesso ai vari percorsi di studio, non licenziare solo perché si attende ad un figlio, come è accaduto ad una pallavolista – deve essere gestita con il bilancino, qualcosa non torna, anzi rischia a mio modesto parere di essere un insulto all’intelligenza e alle capacità delle donne. Di questo argomento ho scritto nel penultimo pensiero sparso di questo sito, riprodotto integralmente sulla mia pagina Facebook, ho aggiunto un commento sulla pagina della trasmissione in questione, e con sorpresa – forse nemmeno troppa – chi ha approvato sono state solo e esclusivamente donne.

Se per qualche strano motivo in ogni ambito della nostra società la rappresentanza deve essere suddivisa perfettamente a metà, è una parità matematica ma non è supportata da valori che dovrebbero essere alla base del concetto di parità. Prendiamo ad esempio lo sport, uomini e devono avere le stesse opportunità di accesso, e eliminerei il concetto che dice che esistono sport per uomini e per donne, e non ci possono essere disparità di trattamento economico e contrattuale, però se si applica l’assurda idea del bilancino tarato al 50%, vedo sorgere diverse anomalie. Parità dunque senza tentennamenti ma consapevoli che sono i diritti veri a dover essere richiesti a gran voce e non in base numerica, ma in base alle proprie capacità, doni, desideri, interessi, dove nessuna deve essere esclusa in quanto donna, ma allo stesso tempo inclusa in quanto donna.

Ed eccomi giunto alla fine del viaggio, dove incontro la parola felicità, termine con cui ho fatto sempre a pugni, non credo alla felicità in senso assoluto, credo nella serenità, forse la causa della mia riluttanza di accettare l’idea di felicità deriva dall’etimologia che fa provenire felicità da felicitas, la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità. Ecco l’idea di abbondanza, almeno in cose tangibili, ricchezza e prosperità sono lontane anni luce dalla mia filosofia di vita. Poi ho fatto la piacevole scoperta che Simone Cristicchi, artista che ammiro tantissimo per il suo coraggio di trattare argomenti sempre diversi tra loro e non semplici. Cristicchi ha realizzato il progetto HappyNext, un libro – uscito per La Nave di Teseo – che è anche un documentario di Andrea Cocchi e uno spettacolo teatrale. Si tratta di un viaggio alla ricerca della felicità e del valore delle parole con i loro significati veri, perduti, dimenticati che possono essere un’àncora di salvataggio. Cristicchi aggiunge che la parola felicità viene da felix che ha la stessa radice di fecondo e aggiunge che è una parola che si utilizzava in agricoltura nell’antica Roma e significava dare tanto frutto quando un albero era particolarmente generoso. Attraverso una serie di interviste Cristicchi mostra anche quanto siano diverse le idee di felicità. Il cantautore aggiunge: Mi auguro che possa diventare un piccolo vademecum da consultare nei momenti di difficoltà. È un libro pieno di storie di vita. Dietro ogni parola c’è sempre un’esperienza. E spero che possa emozionare perché si tratta di un viaggio vero e proprio. Questo libro, tra l’altro, lo metterei nella letteratura di viaggio, un viaggio più spirituale che fisico. Voglio fidarmi di Simone e provare a capire che quando si parla di felicità non s’intende solo ricchezza, abbondanza di cose materiali, così ho acquistato il libro e mi sono immerso delle sue pagine…

Il viaggio è terminato, scrivere di parole, di parole a cui forse abbiamo modificato il significato, che mi sono venute a trovare, mi ha reso felice… ops forse ho esagerato, mi hanno donato ore e momenti piacevoli e sereni. E a voi quali parole vi sono venute a trovare?

⇒ Foto: Giuseppe Rissone ≈ Prossimo Appuntamento: lunedì 21 giugno

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