La Scoperta Della Lentezza

Un piccolo ago luccicante nell’immenso pagliaio delle tante letture possibili, un fatto realmente accaduto nel diciannovesimo secolo…

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Stan Nadonly

Non ho resistito al desiderio di prelevare questo piccolo ago luccicante dall’immenso pagliaio delle tante letture possibili. Vi invito per la riuscita del viaggio a collocarvi mentalmente in una spedizione artica del diciannovesimo secolo. Il fatto è realmente accaduto, ma possiamo riviverlo insieme e se ci siete anche voi la cosa diventa più emozionante. Cosa più dell’artico stupisce l’immaginazione, con le sue solitudini, i suoi silenzi. Sembra l’anticamera degli infiniti spazi cosmici che proseguono il suo paesaggio. Il freddo rallenta ogni atomo, ogni gesto; i movimenti di ogni cosa sono così lenti che sfuggono quasi alla nostra vista. E non sembra davvero di essere nello stesso minuscolo frenetico pianeta delle megalopoli brulicanti di vita.

Jhon Franklin, la nostra guida, lo sa molto bene. L’artico è il solo luogo nel quale si sente a casa. Ma voi, io, che lo seguiamo, non siamo come lui.

Ci ispira un po’ diffidenza questa guida. Gli fai una domanda e non riesce a stare dietro la tua frase, se la deve sempre far ripetere due, tre volte. Non è sordo, è che proprio il suo cervello è lento. Rimane tre parole indietro ogni sei. Dicono che quando era bambino giocava tirando in aria una palla, e poi metteva la mano in posizione per riprenderla, ma la palla era già caduta da qualche secondo. E gli altri bambini tutti attorno a ribaltarsi dalle risate. Però poi lui riusciva a seguire il movimento delle stelle, così lento nel cielo che a noi tutti sembrava di vedere solo immobilità. Ma che te ne fai di una cosa del genere? Conviene risolvere prima quella cosa della palla, ma niente. Passano gli anni e le cose non migliorano, anzi prendono un nome che per lui è una sentenza: John Franklin, sei un ritardato! E consolati pure con la luna, che non vedi mai ferma e per motivi misteriosi riesci a seguire nel suo dilatarsi o nel restringersi incessante, mentre per noi, bravi con la palla, la luna è ferma …o piena, o a metà, o una falce, dipende dai giorni, fine.

E torniamo a noi. Intirizziti dal freddo artico sbarchiamo su una distesa di ghiaccio che si estende a perdita d’occhio. La nave è saldamente ancorata al fondale. Camminiamo per ore quasi in apnea perché l’aria ci gela i polmoni. Camminiamo guardando le nostre orme sulla neve dietro di noi sapendo che guideranno il nostro ritorno alla nave. Il nostro pensiero è solo per il ritorno, al caldo, sulla nostra nave, la nostra casa. Le ore passano. Il nostro cammino finalmente si inverte e si torna verso la nave. Ogni orizzonte sembra uguale a quello di qualche minuto fa. Abbiamo perso la capacità di vedere le differenze. Franklin invece è nel regno delle differenze che vede solo lui, gioca in casa, e il suo sguardo segue questi movimenti invisibili. Ok, però, è stato bello, ora portaci a casa Franklin! Per fortuna oltre quel dosso c’è la nostra nave che ci aspetta e un cognac.

Oltre quel dosso.

Forse no, non è questo il dosso, forse è quell’altro. Oddio, è questo, le orme ci portano proprio qui! Da qui siamo partiti. Le nostre orme arrivano fino all’acqua, ma non c’è più la nave!

La disperazione è come un veleno a presa rapida. Raggiunge ogni angolo del nostro corpo. La nave non aveva neppure il tempo di affondare… dove è finita? Sembra un malefico sortilegio. Ci sediamo tutti sul ghiaccio, esausti. I pensieri e anche la nostra paura si congelano lentamente insieme alla speranza. Non c’è via d’uscita.

Franklin è seduto fra noi. E’ così lento che anche la sua paura stenta ad agitarsi. Cosa starà pensando?

Sta pensando che i suoi piedi, i suoi occhi, durante il cammino coglievano qualcosa, una sensazione non definita, eppure qualcosa gli diceva di annotarselo mentalmente. Improvvisamente si alza e ci dice, seguitemi, credo di aver capito.

Ora voi fate come volete, potete seguirlo o no, ma l’alternativa è morire qui… o seguirlo.. seguiamolo. Cammina tra le dune di neve, si guarda intorno, cambia direzione. Siamo stanchi. Forse meglio finirla qui. Sta durando troppo questo racconto, potrei fermarmi qui anche io … e ci sarebbe qualcosa di incompiuto.

Ma invece lo abbiamo seguito e siamo qui a raccontarla questa storia, siamo davanti ad un cognac e quello che ci manca di sapere è la magia, quale magia ha fatto riapparire all’improvviso la nostra nave lontano da dove eravamo scesi.

Franklin è davanti a noi e un po’ balbetta, perchè non è un fulmine nel raccontare “la nave non si è mai mossa ci dice!… mentre camminavo sui ghiacci ho avuto una sensazione impercettibile, come se il cielo si muovesse. Quando siamo tornati e la nave non c’era, ancora non capivo bene, poi finalmente ho capito. Capito che eravamo su un immenso icberg. L’icberg si muove lentamente mentre la nave rimane ferma ancorata al fondale. Mi sono concentrato per capire la direzione del movimento. E ho ritrovato la nave, lontano da dove eravamo scesi”.

Attimi di silenzio. Non so voi, ma io rimango annichilito. Mi sento piccolo, minuscolo per aver compatito quest’uomo. I miei sensi da millenni di evoluzione sono tarati per ignorare ogni movimento al di sotto di una certa soglia di velocità, ma i suoi no. L’immensità del cosmo parla la sua lingua, non la mia.

E quella palla che non torna in mano… non mi fa più ridere, mi fa sorridere bonariamente a ripensarci e un po’ commuovere, ora che posso raccontare che solo un “ritardato” poteva salvarmi la vita.

UMBERTO SCOPA

Foto: albanesi.it – ligurianautica.com

L’Ago Nel Pagliaio ritorna martedì 26 novembre

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