La Puzza

Scrivere è per me sempre stato terapeutico, da tre mesi non è più così, un forte odore mi assale e non mi lascia sereno, con grande fatica ho realizzato questo lungo articolo – dopo averne cestinati diversi – che per il momento è l’ultimo della stagione, salvo che la puzza non mi abbandoni…

Premetto che scrivere è diventato per me molto difficoltoso, sto vivendo un periodo – e questo vale per molti – molto complicato, dove lo srotolarsi delle giornate, è quasi sempre identico, otto/dieci ore davanti ad uno schermo a lavorare – da casa – piccole uscite per le classiche incombenze. Nulla che valga la pena di essere raccontato, credo anche che a breve saremo travolti da film, libri, canzoni che saranno intrisi e contaminati da questo tempo sospeso. Così, ho deciso che questo è l’ultimo articolo della stagione, salvo che qualcosa non cambi nelle prossime settimane, ma andiamo con ordine…
L’aspetto che più che mi colpisce e che non riesco a digerire, è la quasi totale assenza del ricordo delle vittime, in situazioni meno drammatiche, sono state indette giornate di lutto, bandiere a mezz’asta, quello che è sempre in prima pagina sono domande come… quando potremo andare in vacanza, dalla parrucchiera, a prendere l’aperitivo? Domande legittime ma che dovrebbero rimanere sottotraccia, oltre 30.000 morti sono lì a dirci che un rispettoso silenzio dovrebbe essere prioritario.
Questo tempo non tempo, sarà da me ricordato – spero per un periodo più breve possibile – da un odore, forse provocato dal materiale delle mascherine, che sale su per il naso, e nonostante diversi tentativi non sparisce del tutto, un olezzo che sa di marcio, di plastica decomposta, che si è attenuato cambiando tipo di protezione, ho così scoperto che tutto questo ha un nome cacosmia. Il termine deriva dal greco kakos – cattivo; osme – olfatto e si riferisce a una condizione clinica nella quale vengono percepiti odori sgradevoli dal naso; questi ultimi possono essere reali o del tutto immaginari. Nel mio caso, dopo una verifica, sono di carattere soggettivo, a differenza della variante oggettiva, gli odori percepiti nella cacosmia soggettiva sono del tutto immaginari e legati ad altri disturbi. Questa strana condizione mi ha riportato alla mente la canzone di Giorgio Gaber dal titolo L’odore – che v’invito ad ascoltare – il brano è contenuto nell’album del 1974 Anche per oggi non si vola, è un’invettiva contro tutti coloro che nella vita hanno raggiunto una posizione importante, nascondendo a se stessi come siano riusciti ad ottenere certi risultati, perchè spesso, bisogna sporcare la propria coscienza e non aver nessuno scrupolo di fronte ai propri comportamenti. E quando i soprusi e le prepotenze superano un certo livello, l’odore nauseabondo che la persona emana o percepisce diventa incontenibile e nessuno può fare più niente per arrestarlo. Il mio odore forse deriva dal fatto che sono del tutto convinto che abbiamo venduto la nostra coscienza, la nostra umanità, alle regole di mercato, al profitto, ed io per primo non ne sono esente.
Tralasciando per un attimo la puzza – termine forse più appropriato – mi preme sottolineare cosa mi manca in queste lunghe settimane, prima di rispondere credo doveroso ricordarvi che sono membro della chiesa valdese di Torino, quindi sento una particolare mancanza nel non poter partecipare al culto domenicale, dove poter incontrare sorelle e fratelli in fede, dove poter scambiare un saluto e un abbraccio, dove poter scambiare quattro chiacchiere, dove poter con alcuni di loro prendere un caffè, dove poter stringere le loro mani nel momento della Santa Cena, dove poter scambiare opinioni, riflessioni… nel non poter partecipare all’attività di “Tempio Aperto”, dove al sabato teniamo aperto il nostro luogo di culto per permettere ai passanti di poterlo visitare, dove raccontiamo la nostra storia, il nostro modo di essere cristiani… nel non poter fare radio, è più precisamente dai microfoni di Radio Beckwith Evangelica, mancanze che dovrebbero diminuire nelle prossime settimane.
Nel tardo pomeriggio, dopo essere “uscito” dal lavoro, sdraiato sul divano, leggo il settimanale Riforma – sempre e solo nella sua versione cartacea – vi suonerà strana questa scelta da chi scrive su un sito internet, però la carta rimane per me l’elemento principale dove poter leggere. Sul settimanale, da diversi numeri, trovo molte segnalazioni di culti, studi biblici, riflessioni e appuntamenti vari messi in atto dalle nostre chiese attraverso le nuove – ma sono ancora così nuove? – tecnologie, cosa senz’altro apprezzabile, però non sostituibile con il contatto umano. Leggo, con un certo fastidio, che queste nuovi strumenti aprono la strada a un nuovo tipo di evangelizzazione, d’incontro tra le comunità, per fortuna leggo anche auspici di segno opposto. Personalmente sposo il messaggio della vignetta – che qui ripropongo – pubblicata sul numero 15 del sopracitato settimanale, e realizzata da Max Cambellotti – che voi lettori di questo sito ben conoscete – quando tutto questo sarà finito, mettiamo in una scatola tablet, pc, smartphone e riprendiamo la sana e indispensabile abitudine d’incontrarci fisicamente, del virtuale non buttiamo via tutto, ma non facciamone uno strumento abituale, se così fosse, dal mio punto di vista sarebbe una cosa aberrante, una società basata dalla mediazione di uno schermo è da rifiutare in toto, da combattere, se penso solo a quella che in questo periodo è stata chiamata “scuola” attraverso la didattica online è già sufficiente per opporsi.
Scorrendo le pagine di Riforma, ho avuto modo di leggere due lettere – colgo l’occasione per ringraziare gli autori per la loro disponibilità – pubblicate nel numero 14 dello scorso 10 aprile, molto diverse tra di loro, che sottoscrivo e mi hanno fatto sentire meno isolato, così ho deciso proporvele integralmente, la prima è a firma di Furio Chiaretta:
Alcuni governatori di Regione e sindaci hanno protestato per la circolare del Governo che permette a un genitore che va a fare la spesa di farsi accompagnare da un bambino. Ma nessuno ha protestato per la possibilità di continuare «le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa». Così alla Leonardo di Cameri proseguono le lavorazioni sugli F35, caccia-bombardieri da attacco che non sembrano molto utili nella attuale guerra al Covid-19. Ma non credo che saranno utili neppure alla fine dell’attuale pandemia. Quali nemici dovrebbero bombardare? La Cina o la Russia o Cuba che ci stanno aiutando nella lotta al virus? La Rete della pace e il sindacato Cobas hanno calcolato che un F35 costa quanto 1350 letti di terapia intensiva o 7113 ventilatori polmonari. È più utile spendere miliardi per acquistare decine di F35 o è meglio destinarli alla Sanità? Il via libera riguarda anche altri produttori di armi e coinvolge molte aziende collegate alla Leonardo, come la Skf Avio di Villar Perosa, dove i lavoratori sono in sciopero per non contagiarsi. Si dice che bisogna salvare i posti di lavoro, ma di certo la Leonardo e le aziende del settore non chiuderanno se per qualche settimana sospendono le loro produzioni. Invece permettere le lavorazioni degli F35 appare come un “via libera” anche a produzioni meno inutili dei cacciabombardieri: migliaia di aziende hanno chiesto di derogare alla sospensione della produzione, così milioni di persone sono costrette ad andare a lavorare, con l’elevato rischio di contagiarsi (le mascherine non ci sono per tutti) e poi di contagiare i loro familiari, rendendo vani i sacrifici di tutti gli italiani che stanno davvero in casa. Qualche esperto può spiegare se ha più probabilità di contagio un bambino che fa due passi in una strada deserta o un operaio obbligato ad andare in metropolitana o in bus in una fabbrica dove lavora vicino a decine di colleghi?
La seconda da titolo Amore e slogan è a firma di Mimma Guastoni:
Mi sono divertita, ormai da qualche mese, a stare attenta alle pubblicità sul cibo e ho scoperto che non si tratta più di cucinare bene o saper scegliere i prodotti, ormai si tratta di AMORE. Che l’idiozia sia sparsa un po’ ovunque per il mondo non è una novità ma non sapevo che ce ne fosse una così alta concentrazione nel settore. Ci dovrebbero spiegare con quali contorsioni si riesca a fare l’amore con il sapore e con quali altre farsi abbracciare dal gusto, per non parlare poi di come provare emozioni per l’inserimento di una capsula nella macchinetta del caffè. E come ridurre il sapore della vita al cibo che consumi a tavola? Dopo attenta riflessione tuttavia mi è sorto un dubbio. Che l’idiota sia proprio io? Il compito del pubblicitario, e in particolare per la pubblicità televisiva che è forzatamente generica, è quello di cogliere ciò che è più comune, il gusto e le abitudini della maggioranza. Nella nostra società il cibo ha assunto un’importanza che non ha precedenti sia da un punto di vista dell’attenzione a ciò che può far male o bene (in continua, quotidiana modificazione anche a seconda degli interessi industriali sottostanti) sia da quello del piacere del cibo stesso. E poiché molti valori sono ridotti a beni materiali, ecco la necessità di invocare l’emozione e l’amore. È sciocco stupirsene. Non è dunque il caso di stupirsi ma di rattristarsi certamente. Un grande filosofo, Friedrich Nietzsche, dichiarò che «il linguaggio modifica la realtà tanto quanto la realtà modifica il linguaggio», il pericolo di vedere svuotati i sentimenti a favore dei prodotti è purtroppo evidente. Vorrei concludere con le parole del dialogo finale tra padre e figlio nel film di Ingmar Bergman Come in uno specchio che ci ha fatto riascoltare il pastore Peter Ciaccio in una sua bella conferenza su Bergman tenuta a Milano qualche tempo fa: chiede il figlio: «Per te amore e Dio sono la stessa cosa?». E il padre risponde: «Questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione. Di colpo la miseria è diventata ricchezza e la disperazione speranza». Mi auguro con forza che l’amore ritrovi la sua collocazione nei pensieri più alti.
Concludo dicendo che il desiderio di tornare a svolgere le mie attività è forte, allo stesso tempo desidero che tutto non torni come prima, in particolare che le spese militari siano utilizzate per la sanità pubblica, che le parole riacquistino il loro significato, che la salute venga prima del profitto, che la scuola diventi il soggetto primario di uno stato democratico, che i diritti degli ultimi diventino il primo dei pensieri. Chiamatela se volete utopia, se pensiamo però di ricominciare da dove ci siamo lasciati, vuol dire che questa “quarantena” non ci ha insegnato nulla, ci siamo riempiti la bocca e gli occhi di buoni propositi, di retorica, senza guardare oltre.
L’odore da me percepito in queste settimane salirà o diminuirà in base a quanto riuscirò a stare lontano da scelte perverse, nel riuscire a fare scelte non contrarie alla mia coscienza, a trovare modalità di vita che siano legate all’incontro reale e non virtuale, se qualcosa cambierà ci rileggiamo su queste pagine tra quattro settimane, in caso contrario quando l’odore scomparirà del tutto e proveremo nuovamente il piacere di sentire non il nostro ma quello dell’altro!

GIUSEPPE RISSONE

Foto: piaxabay.com – Disegno: Max Cambellotti

Piccole Storie Quotidiane ritorna… forse… lunedì 22 giugno

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