La Formazione

Il sabato pasquale è giorno dedicato al silenzio. Ci sono spiriti solitari non hanno bisogno di una confessione o un credo particolare per dedicarsi alle diverse forme di meditazione che la philosophia perennis ci consegna. Mistici, poeti, raminghi, pellegrini, alchimisti e certi pazzi hanno spesso sentito quest’esigenza. Senza per tal motivo desiderare di essere chiamati o ritenuti maestri, profeti, guru, geni. Vita vissuta in un’indicibile e troppo spesso fraintesa ricerca di solitudine, scambiata per asocialità, ecclettismo, cupa ribellione all’ordine costituito. Se mai questi vanno considerati soltanto come relativi effetti collaterali di alcune scelte di vita. A volte sofferte, altre volte più consapevoli. Sabato dedicato al silenzio non quindi un sabato rivolto al ritiro o esente da relazioni. È una transizione, un coesistere in movimento, along the way…

Sono giornate liete e soleggiate come lievi sorridenti. La testa oberata di pensieri e il cuore denso di ricordi causati da recenti emozioni e commozioni mi suggeriscono a starmene in disparte tenendo presente tre ipotetici e ideali movimenti: andante, largo, allegro con brio.

Parto la mattina. Decido di non utilizzare nessun mezzo pubblico. Nessuna linea, ancorché bradipa. Ai piedi ho le scarpe ereditate lo scorso natale e risalenti al ‘99. Epoca di ricordi anteguerra… uhm, no: battuta poco felice, è stata una reminiscenza-lampo. Trascorrono le vie, gli incroci che affluiscono verso corso Vittorio Emanuele II. Il fiume dei miei passi si lascia alle spalle alcuni passati poco remoti e si mette in ascolto. Mi ascolto aggettato nell’esser-ci , ma non assoggettato. Oltre il ponte monumentale sono in piazza Crimea. L’architettura tardo liberty accompagna riflessioni diplomatiche dei miei sragionamenti. Influsso di Camillo Benso che sacrificò qualche plotone per la nobile causa di accordi sovrannazionali? No, non ho voglia di parlare di guerra, mi sono già espresso sulla questione di recente. Anche troppo. La pasqua dovrebbe essere un passaggio 8e un paesaggio, mentale e sociale) di pace. La tradizione giudaico cristiana però mi calza male. Rispetto, ma i miei pensieri incalzano e corrono alla rinfusa. Si oppongono ad un’idea di sacrificio intesa come mutuo accordo devozionale tra un singolo (prescelto o aspirante, volente o nolente) e la comunità che lo accompagna fuori le mura. “Vieni che facciamo un giro” direbbe un godfellas. Nuova eco ancora troppo poco remota di qualcosa che dovrebbe esaltare, illuminare, espiare, redimere. Chi? Forse commuovere, stupire o ispirare virtù impensate? Privo di una certa particolare educazione, mai ricevuta, mai cercata. Soppesata e inclusa in un riguardo storico, non esente di curiosità i nessi e i misteri che solleva in modo diverso da come li elaborerei e racconterei io. Se penso al sacro, mi concentro e mi ascolto. Il respiro: senti che profumo quei glicini. Ghirlande pendule e a tinte sfumanti, degradanti con dolcezza. Lillà caduchi che fanno da ornamento a palazzotti quasi ville dall’aria alto-borghese. Un po’ di melanconia, e la reminiscenza di una poesia dall’atmosfera umbratile di Pasolini ispirata proprio da un glicine. E poi, nuovamente l’antidogmatico Nietzsche. Un spirito pensante e guerriero, dedito all’empatia, colpevole di essere impazzito per aver abbracciato un cavallo fustigato male. Un gesto d’amore giudicato folle. Uno che oltre che poesie, si è occupava del tragico e di liberazioni, di pregiudizi morali e sacrifici veri e presunti, pensati e ripensati quasi nello stesso istante, distaccandosi dalla filosofare cattedratico. Forse un pensatore troppo sensibile o incompreso alla sua epoca. Oggi direbbero: in anticipo sui tempi. Un anacronista che frequentava l’eternità di certi stupori senza cercarli e associava lo studio filologico al pensare. Lo immagino piuttosto così. Un Dioniso: questo lo pseudonimo col quale si firmava in età avanzata, quando ormai la follia aveva tracimato e si cristallizzava in pochi messaggi. Secondo alcuni, non un dio simpatico e gaudente, non intellettuale, ma un dio empatico ebbro e animalesco il cui risorgere viene affogato nel vino. C’è chi dice per farlo rivivere. Quisquiglie semplificatrici che limitano il mistero. Stratagemmi da saggi. Ammettiamolo: autoconservativi, altrimenti si soffrirebbe troppo. Varie altre ipotesi: sorto piuttosto dal sottosuolo, suscitato dai semi di papavero lasciati fermentare nel miele. Pozione dagli effetti extra-coscienti, deliranti, non edulcorati né edulcoranti.

Antica tradizione. Per quanto poco distante, la Grecia è ancora remota e non ancora nata. Siamo in zona minoica e preclassica. Sofisticherie presocratiche da rimbecilliti poetastri viandanti che non hanno studiato un fico secco eppur fanno del pathos un ingrediente fondamentale e appunto non sociale. Urge una formazione. I miei umori sono variabili come il clima attuale, e bisogna ottemperare. Halleluia! Halleluia! Ecce humus. Sono fertile e bucolico come certi residui naturali fermentanti con diversi enzimi. Passo tangenzialmente al monte dei cappuccini, supero piazza Gran Madre di Dio, svicolo lungo Po, proseguo in quel che era il parco dell’ex zoo. Un vero zȏon politikòn promotore di letame sociale, altro che costruttore di ponti, pontefice, come qualcuno mi ha nominato. A.S.R.L (Animale Sociale a Responsabilità Limitata). La camminata è un crescendo tra forti e piani. Supero la Madonna del Pilone, mi trovo a passare sotto un arco, un altro ponte. Taglio la strada. La dentera: no. A piedi, rigorosamente, in silenzio. Strada provinciale per Superga. Uno dei simboli della Torino barocca e clericata, futura sede degli ATP final. La marca di scarpe da tennis è un’altra cosa. Ci vuole orecchio e più che Paolo Conte mi sovviene Jannacci e il suo linguaggio appartenente ad un altro lignaggio. Medico e paroliere astruso. Sto facendo confusione. Dev’essere colpa della rincorsa all’ascesi. L’aggettivo corroborante si fa sentire nei polpacci e scaccia l’irritante brulichio del pancreas/pancreator, tonitruante e imperioso. La pendenza cresce sotto lo zenith di Febo recrudescente. Sorge spontaneo un “mavaffanzeus!”.

Un paio di chilometri di sentiero tra tornanti pietrosi e giungo in vista del monumento. Piazzola affollata di turisti. Rumoreggiar di chiacchiere di alto gradimento popolare: il calcio, il clima, il cibo, il futuro. Mi rintuzzo di carboidrati poco bio. Scatto qualche foto alla Torino velata dell’ahimè consueta foschia di micropolveri. Butto un occhio all’aeroporto di Caselle, un altro al Po e ai suoi ponti, ai grattacieli alieni come i cavoli a merenda ma oramai son lì e ai più riconoscibili viali alberati, verdeggianti di primavera. Mi siedo, prendo qualche appunto utile per scrivere quanto state leggendo. Non volendo dimenticare l’importanza della Storia e dello studio passo davanti all’altare della patria. Vincendo la mia naturale riluttanza, quasi fossi un ammalato di tifo in quarantena nell’oceano indiano, mi dedico alla formazione. Elenco qui e ora: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Quasi un mantra, un esercizio di mnemotecnica.

Altro genere di eroismo, rafforzato dalla memoria più che dagli idealismi. Certo, la storia sconfina nella leggenda. Come ne L’uomo che uccise liberty Valance, nella retorica del far west vince la leggenda e non la Storia. Il contesto storico e ambientale, la cultura del tempo e i personaggi secondari, o marginali potrebbero dare maggior rilievo alla storia e alla sua sfuggente coralità. Tralasciando il rude John Wayne, il più colto e progressista James Stewart e lo spietato e fustigatore Lee Marvin. La vita non è un film, anche se tutti recitano un poco, chi più chi meno. Ciascuno ricorda e proietta nel futuro quel che giunge dal passato. Un medesimo episodio può assumere significati differenti, e rimanere parimenti reale e verosimile. Una concatenazione fluida che ammette vuoti di memoria e impossibilità, illusioni, disillusioni e pure incanti susseguenti come a non voler perdere il filo, isolati più che solitari, conchiusi nel proprio labirinto. Più Greta, la nota portavoce dell’ecologismo di questi mesi (da intendere senza false illusioni e strumentalizzazioni), è nuovamente Creta, le sue radici ctonie a ripresentarsi, come immagine simbolica comune (allo stesso tempo fuori dal comune). Per nulla redento, di fronte a questa formazione, guardo l’altare laico e profano, ai piedi di un monumento sacro, che m’induce a ulteriori considerazioni, ricordi e riflessioni. Immagini color seppia, adesivi dai club di tifoserie da tutta Italia, maglie di campioni di oggi adornanti come ex voto, bandiere. Nomi lapidari stampati col plumbeo stampatello maiuscolo riecheggiante la razional-calligrafia del ventennio.

Pochi giorni fa si sono ricordati i 70 anni dalla tragedia di Superga. Il mondo pullula ancora di tragedia ben più gravi, grandi e piccole, visibili ed invisibili. Qualcosa di scritto lo ricorda, come questa traccia fosse il gesto di un A.S.R.L.

In questo guazzabuglio c’è qualcosa di sacro che non si è perduto ed si è conservato vitale e trasformato nel silenzio, nel tempo che passa non invano. Tempo non indolore che però come un sale disinfetta le ferite, stempera malumori e lentamente le trasforma.

Oltre al filo Arianna porse al futuro re zȏon politikòn (oggi diremmo leader) Teseo un lumicino. No, non è lo stesso del secolo dei lumi. La ragione se non la si mandasse a dormire, non potrebbe generare mostri, e peggio ancora si dissolverebbero i sogni e ogni altra forma di stupore, meraviglia o sgomento che dir si voglia. Riesumare le immagini dell’evo dei numi.

Sarò pazzo, ma non penso siano mai morti. Si sono soltanto ammutoliti, ritornati ad un silenzio originario, quello che precede ogni enunciato. Gli idoli che li mostravano e contenevano sono le loro presunte (spesso pretestuose) verità assolute, sono retrocessi al campionato cadetto sovrapposti alla realtà ondosa che li fa crollare e risorgere in ogni istante, lasciando soltanto un vago profumo nella coscienza, temporaneamente obnubilata e trasognante. Recano una traccia, poche essenziali impronte: nomi, voci, immagini. Un vocabolario che procede per sillabe sparse anziché in ordine alfabetico.

Statue che si accartocciano, si stiracchiano, si inzuppano, crepano, disincarnate, reincarnate, si muovono, drammaticamente redivive. Scrivono insature, ancorché più delimitate pagine di storie.

Lascio che si dissolva questo sovrappiù di senso raggrumato ancora una volta in uno scritto pedestre, ostinato e irredento. Ridiscendo senza prendere alcun mezzo di trasporto.

La discesa non la descrivo, né la racconto. Ammetto: è stata più rischiosa e avventurosa e non da oggi m’ispira più simpatie della salita. Sono partigiano. La pasqua è vicina alla festa della liberazione del nazi-fascismo. Ogni salita, si rispecchia per converso in una discesa.

Tenere presente, per le future avventure pedestri.

[to be continued…]

ENEA SOLINAS

Foto: Enea Solinas

Avventure Pedestri ritorna mercoledì 29 maggio

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