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di Gian Michele Spartano

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Tutti gli articoli di Tempio Aperto sono scomparsi, non per nostra volontà, dal sito, dopo un lungo lavoro di ricerca siamo riusciti a recuperarne la quasi totalità, questo è il quarto pubblicato il 23/06/2019.

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L’informazione negli ultimi trent’anni ha vissuto una mutazione incomparabile rispetto ai progressi vantati dal 1041 ad oggi…

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ll numero uno di Tempio Aperto ha trattato il tema della comunicazione, sotto l’aspetto del “come” e per quali passaggi si è trasformata nel tempo, da grafica, poi orale e grafica ed ora virtuale, ovvero dal primo sms all’ultima diavoleria social.

Oggi entriamo nel campo minato del “cosa” e nello specifico di quel mondo dell’informazione che negli ultimi trent’anni ha vissuto una mutazione incomparabile rispetto ai progressi vantati dai tempi di Gutenberg (1455) ed ancor prima dal cinese Bi Sheng (1041) ad oggi.

Quanto seguirà risulta frutto di personale analisi tratta dall’ascolto e dalla lettura delle notizie dei nostri media, piuttosto che da consultazione di saggistica sulla qualità e libertà dell’informazione. Anche perché si fa un gran parlare di libertà ed obiettività di stampa, ma scarso o nullo risulta il coraggio di (auto)critica, tale è il timore di essere additati come liberticidi. Esperienza sul campo quindi.

Niente come in questa materia il mezzo, il supporto con cui porto (il gioco di parole è voluto) a conoscenza di un soggetto o di una collettività una notizia, rischia di alterarne il contenuto: sia in ragione del tipo, sia per l’accessibilità del mezzo, se riservato ad una ristretta cerchia o ad una indeterminata massa di utilizzatori; spaventosamente se il media può raggiungere una sterminata platea e trovarsi nelle mani di una oligarchia.

Quando Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittemberg le sue 95 tesi contro i vescovi della Chiesa di Roma, per poterle poi commentare in pubblica assemblea, la notizia consisteva nella fonte stessa, nessun dubbio quindi sulla genuinità dell’informazione data: nasce il protestantesimo.

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Quando invece il divulgatore della notizia è in una posizione di terzietà dalla fonte (dall’autore del fatto storico) e se ne discosta da essa temporalmente e/o geograficamente, sorge la necessità che il primo possegga i requisiti ed abilità specifici perché la notizia rispecchi o almeno tenda alla “limpidezza” della fonte. Dovrò leggere un medievalista che documenti correttamente anche le istanze dell’Islam e del suo popolo, se devo fare uno studio attendibile sulla seconda Crociata; così come solo un cronista di nera, preparato in diritto ed in psicologia sociale e della famiglia può informare consapevolmente su una vicenda di uxoricidio.

Ci rendiamo conto come la ricerca della “fonte” traducibile in “notizia” sia una indagine rigorosa, pluridisciplinare, oggettiva: scientifica; per ciò stesso la seconda è un prodotto prezioso e delicatissimo, che solo un professionista esperto sa trattare e realizzare: ne sa fare cioè “informazione”.

Qual è la realtà oggi in Italia? Quando un improvvisato gruppo politico(?) di maggioranza nato dalle giungle della “rete”, propone di liberalizzare l’attività di giornalismo con la soppressione dell’ordine; quando quest’arte ormai preda dei rais della politica ed ancor più dei gruppi economici e finanziari, avrebbe invece disperato bisogno di regole di selezione moderne ma serie per poterla esercitare, al pari di una magistratura, di modo da farle riacquistare piena autonomia ed indipendenza, come si pensa di risolvere il tarlo del pensiero unico che si esercita fra le redazioni tv, dei grandi quotidiani e riviste? Ma diamine! Col “citizen journalism”, la piena libertà di “clic” per tutti ed a qualsiasi livello e grado, lasciata al miglior offerente che sia ospite di milioni di utenti o di bradipodiario.

Effetto scontato: non solo in 24 ore si costruiscono casi a mitraglia, si vincono elezioni, si distruggono avversari, si creano miti, si mandano in crisi i governi, il tutto a colpi di falsi scoop pianificati ai tavoli dei Consigli di Amministrazione, delle Procure giudiziarie così come al green del golf-club più esclusivo; ma per poter fare questo oggi è sufficiente un tweet, il cinguettìo dell’uomo del giorno ad una platea dagli echi infiniti. Diamo così fuoco alle polveri dello spettacolo, a cui si piega l’informazione, non più fonte di conoscenza e cultura, ma quasi solo di effimere emozioni. Diamo una bella spinta al PIL e pazienza se la notizia si riduce a merce e nel migliore dei casi a propaganda o pubblicità e se impenna il livello di ignoranza se non l’inganno dei sudditi lettoriattori (proprio così, tutto attaccato), che tutto ingoiano per il prossimo voto.

Con buona pace dell’articolo 21 della Costituzione, che si pensa finalmente di onorare nel divieto di mordacchie alla libertà di stampa. Niente di più falso, tanto che l’Italia langue al 43° posto nella classifica mondiale dell’indice di libertà di stampa e fra i paesi dell’Eurozona stiamo meglio solo di Grecia, Cipro e Malta (fonte Reporters sans frontières).

Proposte? Raggiungiamo l’isola che non c’è e vi troviamo lo Stregone, l’Autorità preposta che ci dirà: o fai il volontario sul Bradipodiario che arriva ad una limitata “tiratura”, o se miri in alto segui la regola di accesso alla professione con esame di Stato, previo congruo tirocinio in redazione, una laurea e scuola di specializzazione. Ma non basta al nostro articolo 21 della Costituzione (tra l’altro deturpato coi commi aggiunti nella II° Repubblica); se lo coniughiamo al 3, comprendiamo come la libertà di informazione vada promossa e sostenuta da tutti per la sua, lo ripeto, autonomia ed indipendenza. Quindi sì ad un finanziamento pubblico, da quella “tiratura” in su, con precisi limiti a quello privato, pubblicità compresa, limiti oltre cui il media assume e lo manifesta espressamente sotto la sua testata la veste di organo di partito, o di altro soggetto di diritto privato. Veto assoluto ad ogni forma di concentrazione. Se cerchiamo libertà.

E voi cosa ne pensate?

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Foto: pixabay.com

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Tempio Aperto ritorna a settembre 2023

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