Dimmi Come Abbai E Ti Dirò Chi Sei

Gli esseri umani si attribuiscono il primato planetario dell’intelligenza nel nostro pianeta tra le specie animali, questo è un un caposaldo del nostro pensiero, che lascia tracce inconsapevoli nel nostro linguaggio quotidiano.

Gli esseri umani si attribuiscono da tempo, più o meno esplicitamente, il primato planetario dell’intelligenza nel nostro pianeta tra le specie animali (a queste mi sono iscritto anche io senza sapere bene quale casella barrare). Si potrebbe discutere anche sulla denominazione “nostro pianeta” perché “a chi appartenga davvero il pianeta” è altra questione che qui con un certo sollievo tralascio. Così come tralascio con uguale disinvoltura la “vexata quaestio” di cosa sia davvero l’intelligenza, del cui primato ci stimiamo. Lungi comunque da me l’idea di contraddire questo primato, vista la permalosità dei detentori. Mi concedo solo una minuscola digressione impertinente nel rimarcare che non troverete in giro un ingegnere in grado di costruire un alveare meglio delle api, o una ragnatela meglio di un ragno. Ma va bene così. E non cerco scuse per la clemenza che dimostro verso le ragnatele in casa mia. Quella è solo atavica pigrizia che sto curando.

L’idea di essere una specie animale superiore alle altre resta però, ed è un caposaldo del nostro pensiero. Fra l’altro lascia tracce inconsapevoli anche nel nostro linguaggio quotidiano. Tante irrinunciabili espressioni che usiamo per insolentire il prossimo fanno ricorso al paragone col mondo animale: essere un’oca giuliva, andare in oca, fare una papera, essere asini, allocchi, ignoranti come capre, versare lacrime di coccodrillo, essere pauroso come un coniglio, essere una gatta morta, essere uno sciacallo, strisciare come vermi, e comunque anche essere definito genericamente “un animale” non è solitamente inteso come un complimento. Può quasi sembrare che tutti i difetti umani siano mutuati dal mondo animale, mentre sotto sotto ben sappiamo che i peggiori sono piuttosto una nostra esclusiva. E sembriamo anche ignorare alcune qualità animali davvero singolari. Gli animali – a prestargli l’attenzione dovuta – mostrano di avere un istinto naturale alla comprensione dei linguaggi umani stupefacente, superiore alla comprensione che noi umani dedichiamo davvero ai linguaggi animali. Mi viene in mente un episodio bellico ottocentesco raccontato da Riccardo Bacchelli nel romanzo storico “Il mulino del Po”. Per inciso questo romanzo è un vero “colossal” storico del territorio padano orientale, soprattutto ferrarese, ed è anche una miniera di preziose informazioni documentate del nostro risorgimento. Si racconta fra le tante altre cose un episodio ottocentesco che vede protagonisti alcuni volontari ferraresi: i nostri eroi si procurano dei cavalli ungheresi sbandati, cavalcati in precedenza dal nemico, e si dirigono in territorio veneto per combattere le truppe austroungariche. In sella ai loro destrieri, ahimè, scoprono con sorpresa non proprio gradita, e troppo tardi, che quei cavalli rispondono solo ai comandi delle trombe della cavalleria ungherese e vengono trascinati loro malgrado in un’azione militare non proprio programmata. Qualcuno dirà che è solo un riflesso condizionato, ma forse c’è di più, perché parliamo di animali che sapevano distinguere il motivo di una tromba da un altro. Certo, qualcuno non mancherà di dire che il merito è degli addestratori e allora, come la rigiri, siamo sempre noi sul piedistallo.

Ancora più significativo è un altro episodio, questo tratto da una graphic novel che amo particolarmente. Si intitola “La guerra di Alan” di Emmanuel Guibert. La storia raccontata e disegnata dall’autore, è fedelmente tratta dalla testimonianza di un soldato superstite della seconda guerra mondiale. Ci racconta un episodio che qui riporto. Una truppa di soldati americani incontra per strada un cane che si lega al gruppo. Sulle prime appare essere un cane sordo, o forse traumatizzato, perché non interagisce con i nuovi padroni e ignora ogni tentativo dei soldati di stabilire un contatto. Questo finché un soldato di origine polacca non bestemmia ad alta voce nella sua lingua. Nella sorpresa generale il cane reagisce come ad una voce amica: comprende le bestemmie polacche! Il cane era infatti un cane polacco e capiva il polacco che parlavano i suoi ex padroni, mentre era indifferente alle altre lingue. Forse i polacchi erano ottimi addestratori di cani o accaniti bestemmiatori, ma certo i cani sono animali straordinari. E quando mi troverete un uomo in grado di distinguere dall’abbaiata la razza del cane ne riparleremo.

UMBERTO SCOPA

Foto: it.blastingnews.com – disegno tratto da La guerra di Alan” di Emmanuel Gibert (Coconino Press Editore)

L’Ago Nel Pagliaio ritorna martedì 21 gennaio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *